La strage di Cutro (KR) a 10 anni dall’omissione di soccorso da parte della nave Libra (Marina Militare)…

La testimonianza di chi a Crotone ha operato come medico delle forze di polizia per tanti anni

ORLANDO AMODEO, medico soccorritore: intervista a Radio Onda d’Urto

Il caicco stracarico di persone, schiantatosi sulle coste crotonesi dopo essere stato seguito a vista da 4 giorni a partire dalla Turchia: nessuno ha alzato un dito. Italiani, brava gente.

Israele unica democrazia in terra d’oriente?

Un’analisi delle varie forme di apartheid dello Stato ebraico ai danni della popolazione nativa arabo-palestinese sia nei propri confini che nei territori occupati per finire alle enclave palestinesi in Libano nei campi-profughi

Radio Onda d’Urto e Scuola Resistente: l’appuntamento di sabato 4 febbraio a Radio Onda d’urto con il nostro collaboratore, Stefano Bertoldi, dei Cobas Scuola. Ospite della puntata  Barbara Gagliardi dell’Associazione Amicizia Italo palestinese e membro del Comitato ‘’Per non dimenticare Sabra Shatila’’ Ascolta o scarica

Contro alcuni miti dell’economia attuale

A Radio Ond’Urto il prof. Roberto Schiattarella

Scuola Resistente, con il professore Roberto Schiattarella, economista sempre molto critico verso le ricette economiche dell’ultim’ora, proposte in maniera semplicistica da alcuni opinion leader, torna ad affrontare alcuni dei grandi temi dell’analisi sociale ed economica e allo stesso tempo offre indicazioni utili ad insegnanti e studenti per analizzare in modo critico narrazione che oggi viene fatta dell’economia capitalistica in cui siamo immersi, partendo da Federico Caffé. Ascolta o Scarica

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In solidarietà con Alfredo Cospito

Una persona in regime detentivo ”duro” (41bis) e condannato all’ergastolo ostativo (fine pena mai) si sta lasciando morire, rinunciando all’alimentazione, per protesta contro due misure restrittive di per sé aberranti per uno Stato democratico e ”di diritto” ma che nel suo caso giuridico specifico hanno anche fondamenta molto deboli oltre che inutili. Si confondono le analisi storiche che spiegano questo regime detentivo nato circa 40anni fa e oggi ingiustificabile: d’altra parte andando nel dettaglio delle misure al suo interno, molte di queste si potrebbero definire, a buon titolo, come torture fine a sé stesse. Anche l’ergastolo ostativo, peraltro in contraddizione con lo spirito educativo o rieducativo della pena sancito dalla Costituzione, altro non è che una pena di morte differita, una vendetta. Siamo molto lontani da quello spirito liberaldemocratico e molto più vicini ad una funzione di vendetta e di sofferenza consequenziale ad un’azione deviante. In barba a tutte le statistiche che dimostrano che il tasso di recidiva di chi usufruisce di pene alternative a quelle detentive è molto più basso dei percorsi ”afflittivi”: si preferisce il polso duro per acquietare le paure, peraltro create ad arte dai mass-media e da politici reazionari, di una popolazione in cerca di capri espiatori facili essendo più difficile individuare il soggetto che li impoverisce giorno dopo giorno.

Festa del tricolore? oggi NON festeggio

Non penso che oggi, con tutto ciò cui stiamo assistendo intorno a noi, dal processo di autodistruzione dell’ecosistema legato alla logica del profitto capitalistico e che procede nell’indifferenza dei rappresentanti politici, alla logica binaria (aggredito-aggressore, razionalità-irrazionalità, ecc.) che è alla base della giustificazione dei conflitti in varie parti del mondo, di fronte alle chiusure ”sovraniste” che in questi anni hanno alzato, anche materialmente, muri in varie parti del mondo, ci sia bisogno di festeggiare la nascita del nostro tricolore: un tricolore che nelle guerre coloniali di fine ‘800 e inizi ‘900 si è drammaticamente bagnato di sangue, quello di chi veniva definito da noi italiani ”brava gente”, (quelli del manifesto della razza per intenderci), sub-umani.

La scuola italiana va alla guerra

(intervista per Radio Onda d’Urto – 24dic.2022) Libro e moschetto, non è uno slogan d’altri tempi ma tragicamente attuale. Dal colloquio con Antonio Mazzeo, insegnante e soprattutto punto di riferimento fondamentale per tenere d’occhio le derive militariste dell’apparato industriale bellico italiano di questi ultimi 10 anni, emerge un quadro allarmante rispetto alle infiltrazioni nel mondo educativo

Vela Sensibile con SOS MEDITERRANEE

Ripartono le uscite all’insegna dell’inclusione sociale

Sabato 17 dicembre dopo due attracchi in banchina difficoltosi per la forte risacca, H2O la splendida imbarcazione di circa 14mt. dell’ASD Girovelando era pronta ad accogliere i donatori di SOS MEDITERRANEE per una lezione di vela offerta nel quadro dei ”doni solidali’‘ della nota ONG impegnata nei soccorsi in mar mediterraneo, oggi sotto attacco da più fronti a causa delle attuali scelte governative dell’Italia e più in generale dalla ”Fortezza Europa”. L’iniziativa, seguendo un principio solidaristico nella piena consapevolezza di stare tutti ”sulla stessa barca”, in base al quale nessuno si salva da solo e nessuno deve essere lasciato indietro, è in concomitanza con un altro progetto, denominatosi Vela Sensibile: il nome nasce da un’iniziativa all’interno della galassia UISP-Vela tra alcuni istruttori di vela e numerosi appassionati di vela ciechi e/o ipovedenti sparsi in tutta Italia. Semplici curiosi o appassionati di mare e vela che vogliono avvicinarsi a questo mondo carico di metafore ed emozioni si affiancheranno a persone cieche e/o ipovedenti con le quali condivideranno le stesse esperienze: spesso gli appartenenti al gruppo Vela Sensibile possono essere loro stessi istruttori in quanto dal 2018 in poi sono state molte le occasioni per navigare addirittura in crociere estive di più giorni oppure in occasione di stage per istruttori come quello di Caorle nel 2019, organizzato dalla UISP-Vela Nazionale

A partire da queste esperienze informali ma con alla base già numerose sistematizzazioni teoriche formative che porteranno al futuro ”manuale della vela inclusiva”, l’Associazione Piccabulla, (già impegnata in progetti innovativi di formazione) con lo storico Istituto Sant’Alessio di Roma e un gruppo di ricercatori che si sta aggregando su iniziativa del dipartimento di Sociologia dell’Università di Cassino, intende presentare progetti nel quadro Erasmus+ per dare gambe ”scientifiche” e sostegno economico a questa iniziativa.

Il Ministero della d-istruzione

Da Radio Onda d’Urto – puntata di Scuola resistente (3dic.2022)
“Saranno non più del 20% sul totale dei fondi del PNRR destinati alla scuola per colmare una delle carenze fondamentali della scuola statale italiana che oggi ne fanno uno dei motori di mobilità sociale al contrario, quelli che effettivamente andranno in quella direzione: quindi poca lotta alla dispersione, poco sostegno alle fasce più deboli, sportelli psicologici permanenti sul modello di quelli delle scuole spagnole neanche a parlarne, ecc. ecc. Mario Sanguinetti, dell’esecutivo nazionale dei COBAS della scuola, ci racconta solo alcune di queste tessere oscure di un mosaico desolante sul quale, il ministro ultra-conservatore del governo neo-fascista Meloni, ogni giorno lancia una nuova esca alla quale, purtroppo, molti di noi abboccano. Sanguinetti si riferisce a tutti quei temi divisivi, per i quali è sacrosanto battersi su tutti i fronti affinché non si approprino culturalmente degli unici spazi di libertà d’insegnamento tutt’ora esistenti, come l’ultima ”boutade” sulle giuste umiliazioni quando occorrono, o tutte le esternazioni sul cosiddetto merito completamente travisate nel loro significato profondo.

Perdendoci dietro questi temi, a volte lessicali, a volte espressioni dell’animo ultra-liberista e padronale di una destra ignorante, dimentichiamo di osservare l’accelerazione che questo governo sta dando ad un percorso di definanziamento e di trasformazione in senso liberista iniziato decenni fa con i governi di pseudo-sinistra. Il restante 80% di cui sopra si è fatto cenno, invece, andrà a finanziare gruppi, associazioni, società che organizzano varie attività extra-scolastiche per le varie competizioni per ”cervelloni”, sempre in un’ottica di competizione e di valorizzazione di ciò che oggi va per la maggiore ovvero il merito. Per quanto riguarda tutti gli altri fondi, a parte l’annunciato ammodernamento strutturale degli edifici o la loro sostituzione, molto sarà destinato alla cosiddetta scuola digitale per futuri ”smanettoni” delle LIM, anche qui in un’ottica non di recupero di un rapporto educativo ma di una sua meccanizzazione di sussidiarietà con contenuti premasticati da altri.

Accanto a questo processo di restyling c’è un ulteriore accorpamento di istituti per ridurre i costi e una drammatica mancanza di personale ATA che si ripercuote su tutti il sistema: spesso questa componente scolastica viene messa in secondo piano mentre andrebbe valorizzata perché è anche qui che si può fare una scuola di qualità. C’è poi un aspetto molto grave sottolineato da Sanguinetti che sta nell’accelerazione che si vuole dare alla divaricazione tra insegnamento professionale-tecnico e quello più umanistico-generalista che non farà che aumentare quelle divergenze classiste che sembravano essere state colmate dopo le riforme di fine anni ’60. Insomma il merito come parola d’ordine che distende un velo opacizzante sulle differenze sociali di partenza che vede, a parità di indirizzo, le scuole di periferia incancrenite dal precariato del corpo docente e dal disagio sociale e spesso anche ”socio-sanitario” (è altissimo il tasso di DSA e disabilità varie nelle classi di periferia): si sottolinea come solo dopo aver colmato al 100% queste differenze socio-culturali di partenza si possa (forse) parlare di ”merito” o, potremmo aggiungere anche di ”naturali tendenze” al lavoro manuale dei figli degli operai, come spesso si sente dire, non al bar sotto casa ma ai vertici delle istituzioni!

In questo panorama desolante Sanguinetti avverte come, soprattutto tra le giovani generazioni di insegnanti, sembri sopravanzare un tecnicismo che nulla ha a che fare con le indicazioni forniteci in due secoli di esperienza nell’istruzione di massa dai grandi della pedagogia democratica dai vari Dewey fino all’attuale Christian Laval. Quest’ultimo, di recente in Italia ospite della ”settimana della sociologia” ha avvertito tutti gli insegnanti che è arrivato il momento di passare all’azione di fronte ad un’emergenza sociale arrivata ai massimi livelli di disuguaglianza e ingiustizia fino a sfociare in un fenomeno di autodistruzione anche delle risorse naturali: l’insegnante, l’educatore, deve recuperare il suo ruolo pienamente politico per formare generazioni di futuri cittadini votati alla lotta contro le disuguaglianze sociali e alla tutela del nostro pianeta minacciato da una cultura estrattivistica”.

La puntata di sabato 3 dicembre 2022. Ascolta o scarica

In aggiunta, l’intervista a Domenico Quintavalle, Cobas Lavoro Privato, in merito invece al sistema di appalti relativo alla logistica, raccolta durante le iniziative di lotta del 2 dicembre con lo sciopero generale del sindacalismo di base. Ascolta o scarica

Per una vela inclusiva a 360°

Si è svolta, il 16 luglio 2022, presso Porto Turistico di Roma a Ostia la giornata di sostegno ad SOS MEDITERRANEE che ha visto la partecipazione di persone cieche appassionate di vela insieme a persone sostenitrici dell’ONG franco-italo-tedesco-svizzera. Chiunque aveva devoluto nella settimana precedente un’offerta per contribuire alle operazioni di salvataggio nell’area adiacente il mar libico, poteva partecipare ad una lezione gratuita di circa un’ora introduttiva alla navigazione a vela sotto la guida esperta degli skipper, istruttori F.I.V. o della U.I.S.P., dell’ASD GIROVELANDO . Si è trattato di un’iniziativa fortemente inclusiva in linea con le linee-guida del progetto ”Vela sensibile” che da alcuni anni la sezione vela della U.I.S.P. sta portando avanti sia su derive che cabinati, con ciechi e/o ipovedenti. Vela e soccorsi in mare sono due parole-chiave che il gruppo dei volontari denominato ”Salvagente” di Roma sta cercando di unire nella convinzione che i punti di contatto e le sensibilità siano tali che dal mondo della vela si potrà alzare un grido di allarme affinché si ponga fine a navigazioni che troppo spesso danno luogo naufragi e morti. Tanto più che questo collegamento sta diventando sempre più stretto se si guarda all’inedita rotta migratoria che partendo dalla Turchia arriva fino alle coste calabre, pugliesi o siciliane proprio a bordo di imbarcazioni a vela, ovviamente rubate ai legittimi proprietari, ad opera di skipper-scafisti senza scrupoli. Proseguendo su questa linea, l’ASD Girovelando ha recentemente portato la bandiera di SOS MEDITERRANEE che ha patrocinato l’imbarcazione H2O, un First435 partecipante alla prestigiosa regata ”La lunga bolina”, organizzata dal C.C. Aniene sulla rotta Riva di Traiano-Porto Ercole.

Lettera aperta per il cessate il fuoco in Ucraina

Condividendo appieno il contenuto di questa lettera aperta che trovate anche in questo LINK indirizzata al Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi redatta dal Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera mi limito qui a pubblicarla integralmente:

Rete Italiana per il Disarmo

Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
ogni persona senziente e pensante prova un’angoscia profonda e un indicibile orrore per la guerra e le stragi di cui e’ vittima la popolazione ucraina aggredita dal folle e criminale governo russo.
L’umanita’ intera dovrebbe fare quanto e’ in suo potere per far cessare questa barbarie assassina, per salvare tutte le vite che e’ possibile salvare, per far tacere le armi e ripristinare la pace, il diritto, la civile convivenza.
Ma mi sembra che talune decisioni del governo italiano da lei presieduto, invece di promuovere la pace e salvare le vite, contribuiscono ad alimentare la guerra scatenata dal folle e criminale governo russo.
E mi sorprende, addolora ed angoscia che lei non se ne avveda.
Dovrebbe essere evidente cio’ che occorre innanzitutto fare: far cessare al piu’ presto la guerra; cercare di salvare tutte le vite che e’ possibile salvare; promuovere negoziati di pace.
E concretamente ed immediatamente: inviare ingenti, ingentissimi aiuti umanitari alla popolazione ucraina; soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone in fuga dalla guerra (e dovremmo farlo anche con le persone in fuga dalle altre guerre, dalla fame, dai lager libici: invece di farle morire nel

Mediterraneo); adoperarsi per disarmare il conflitto (le armi sempre e solo servono a uccidere gli esseri umani, la guerra in quanto tale e’ un crimine contro l’umanita’, il piu’ grande dei crimini contro l’umanita’); promuovere nei luoghi del conflitto azioni di interposizione internazionale non armata e nonviolenta (sollecitando ovviamente anche l’intervento dell’Onu a tal fine); favorire il dialogo tra le parti in conflitto (giacche’ ogni guerra deve pur concludersi con un negoziato, e prima si negozia prima cessano le stragi), sostituendo le parole alle armi, le ragioni alla violenza, il ragionevole compromesso alle barbare uccisioni, facendo cessare il fuoco il prima possibile e facendo riscoprire a tutti i soggetti coinvolti la semplice verita’ che sono esseri umani quelli che vengono uccisi, e che uccidere degli esseri umani e’ il crimine piu’ mostruoso che degli esseri umani possano commettere.
Il governo italiano si sta impegnando per queste iniziative di pace e di solidarieta’, di soccorso e di accoglienza, di azione diplomatica ed interposizione nonviolenta per salvare tutte le vite che e’ possibile salvare? Ahime’, piu’ no che si’. Quel poco di buono che sta facendo in materia di aiuto umanitario e’ di gran lunga sopraffatto da quel tanto di folle e scellerato che sta facendo in favore della prosecuzione e dell’estensione della guerra, e quindi per ineludibile conseguenza in favore della prosecuzione e dell’estensione delle stragi, favoreggiando di fatto la criminale follia del governo russo.
E valga il vero.
*
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,

  1. l’irragionevole e sciagurata decisione delle cosiddette “sanzioni” non solo non ha fermato la guerra, non solo non ha inceppato la macchina delle stragi, non solo non ha dissuaso il governo russo dal perseverare nella sua furia onnicida, ma ha invece imposto nuove sofferenze e ulteriore poverta’ alle classi popolari, alle persone e alle famiglie gia’ piu’ sfruttate, rapinate, emarginate ed oppresse del nostro stesso paese. E non solo: l’annunciata decisione di tornare alle centrali a carbone e addirittura alle centrali nucleari (decisione che il governo pretenderebbe di imporre come esito necessitato delle predette “sanzioni”), danneggia gravemente ed irreversibilmente l’umanita’ intera e l’intero mondo vivente.
    Sembra che il governo non si renda conto della sofferenza e della poverta’ di milioni e milioni di italiane ed italiani che queste decisioni stanno precipitando in ulteriori sofferenze, ulteriore impoverimento, ulteriore paura, umiliazione ed angoscia.
    Sembra che il governo non si renda conto della sofferenza e della poverta’ di miliardi di esseri umani che sono gia’ oggi vittime della crisi climatica, delle devastazioni ambientali e della fame (oltre che delle guerre e dei regimi antidemocratici e fin terroristi che si servono anche di armi italiane per esercitare la loro disumana violenza sulle popolazioni inermi).
  2. La folle e criminale decisione di inviare armi in Ucraina, in flagrante violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, fa entrare l’Italia sia de jure che de facto nella guerra in corso, cosi’ accrescendola ed estendendola, cosi’ contribuendo a nuove uccisioni e nuove devastazioni, cosi’ cooperando a provocare nuove stragi , nuovi orrori e nuove indicibili sofferenze alla popolazione ucraina gia’ cosi’ crudelmente martoriata.
    Sembra che il governo non si renda conto delle concrete conseguenze di tale decisione. Tale decisione non solo fa aumentare le violenze e le uccisioni in Ucraina, ma contribuisce a provocare un allargamento della guerra con il conseguente pericolo di una guerra nucleare che puo’ distruggere l’intera umanita’.
    Nessuno ha il diritto di mettere in pericolo l’esistenza dell’intera umanita’. Occorre fermare la guerra scatenata dalla criminale follia del governo russo, non favoreggiarla e farla crescere fino ad esiti apocalittici. Peraltro il fatto che l’Italia dopo anni ed anni non abbia ancora ratificato il trattato dell’Onu per la proibizione delle armi nucleari, e’ tragicamente sintomatico della perdurante, assurda cecita’ del governo e del parlamento del nostro paese.
  3. Ed e’ grottesca e insensata la decisione di espellere alcuni diplomatici russi dal nostro paese, mentre invece occorrerebbe valorizzare il piu’ possibile tutti i canali diplomatici per arrivare il prima possibile al negoziato che solo puo’ porre termine alla guerra e alle stragi.
    Sembra che il governo non si renda minimamente conto di quali siano le uniche vere vie praticabili e le uniche vere azioni virtuose necessarie per porre fine alla guerra e alle stragi di cui essa consiste.
  4. Nulla aggiungo sull’insensatezza del riarmo; sulla delittuosita’ dell’aumento delle spese militari quando invece il nostro paese ha estremo bisogno di incrementare le spese sociali; sull’abissale stoltezza di scelte energetiche che contribuiscono all’avvelenamento e alla desertificazione della biosfera.
  5. E nulla aggiungo sul triste e tristo fatto che l’Italia non si e’ minimamente dissociata dalle decisioni scellerate degli Stati Uniti d’America che mirano a devastare ed impoverire l’intera Europa per meglio asservirla, della Nato terrorista e stragista che degli Usa e’ braccio armato, dei vertici razzisti e bellicisti dell’Unione Europea; decisioni che contribuiscono a far massacrare la popolazione ucraina, che contribuiscono a trascinare l’umanita’ in una esiziale guerra mondiale, che impoveriscono e ancor piu’ opprimono tutti i popoli europei, che accelerano la catastrofe ambientale.
  6. Aggiungo invece che non so se lei abbia mai avuto occasione di averne notizia, ma nella legislazione del nostro paese gia’ da molti anni e’ entrata – anche se purtroppo finora senza le necessarie e urgenti realizzazioni pratiche – la “difesa civile non armata e nonviolenta”. E’ questa l’alternativa alla guerra, e’ questa la risorsa che puo’ salvare l’umanita’ dalla catastrofe: cosi’ come occorre un’immediata conversione ecologica dell’economia, occorre un’immediata conversione nonviolenta della politica della difesa e della sicurezza comune.
    Occorre sostenere la resistenza nonviolenta della popolazione ucraina all’invasione, alla guerra, alle stragi.
    Occorre sostenere l’opposizione nonviolenta della popolazione russa alla guerra e al regime.
    Occorre sostituire alla “difesa armata” che non difende ma uccide, la difesa popolare nonviolenta che salva le vite e riconosce e rispetta ed invera i diritti umani di tutti gli esseri umani.
    La nonviolenza – scrisse Aldo Capitini – e’ il varco attuale della storia.
    *
    Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
    lei ha piu’ volte dichiarato di volersi impegnare per la pace. Parole benedette.
    Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
    Lei ha ripetutamente espresso il suo orrore per le stragi e il vivo desiderio che cessino al piu’ presto. Parole benedette.
    Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
    Lei ha piu’ volte chiesto che tacciano le armi e si avviino negoziati di pace. parole benedette.
    Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
    *
    Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
    credo che anche lei converra’ che non e’ possibile opporsi al male aggiungendo altro male, che non e’ possibile opporsi alla violenza aggiungendo ulteriore violenza, che non e’ possibile opporsi alle stragi provocando altre stragi.
    Credo che anche lei sia consapevole del fatto che la popolazione ucraina ha estremo bisogno di aiuti umanitari che salvino le vite, non di ulteriori armi che provocano sempre e solo ulteriori stragi ed ulteriori devastazioni.
    Tutti i retori esaltatori della guerra, tutti i governanti che armano la guerra, occultano la tragica realta’: la tragica realta’ e’ che ogni nuovo giorno di guerra altri esseri umani vengono massacrati in Ucraina. La tragica realta’ e’ che chi non si adopera per la pace e’ complice dei massacri. La tragica realta’ e’ che i governanti ben protetti si esibiscono in pose gladiatorie e in discorsi roboanti dinanzi alle telecamere nei loro eleganti salotti, e la popolazione ucraina inerme muore sotto le bombe.
    Tutti i retori esaltatori della guerra, tutti i governanti che armano la guerra, cooperano all’uccisione di esseri umani inermi e innocenti, contribuiscono alla prosecuzione del massacro del popolo ucraino vittima della criminale follia del governo russo, trascinano l’umanita’ verso l’abisso.
    *
    Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
    La prego con tutto il cuore di voler riconsiderare quanto il suo governo ha fatto e sta facendo, e di revocare al piu’ presto le decisioni piu’ sciagurate.
    Mi permetta di ripeterlo una volta di piu’: dobbiamo far cessare immediatamente il massacro del popolo ucraino; dobbiamo far cessare immediatamente la guerra onnicida; ogni vittima ha il volto di Abele; salvare le vite e’ il primo dovere.
    *
    Augurandole ogni bene, voglia credermi il suo fraterno, sincero ed angosciato amico Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
    Viterbo, 10 aprile 2022

Mittente: “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt@gmail.com

Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo e’ una struttura nonviolenta attiva dagli anni ’70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E’ la struttura nonviolenta che oltre trent’anni fa ha coordinato per l’Italia la piu’ ampia campagna di solidarieta’ con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano “La nonviolenza e’ in cammino”. Da alcuni mesi e’ particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l’illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell’intero mondo vivente, da 46 anni prigioniero innocente.


Appello alla diserzione in Ucraina & Russia

Non è ammissibile affermare la presunta ”sorpresa” dell’aggressione russa in Ucraina, nemmeno se questa si limita a sottolinearne l’inequivocabile ferocia. Non è ammissibile, soprattutto in tempi di apparati di informazione, sicurezza e controllo, da ambo le parti, in grado di prevenire e analizzare anche solo il pensiero che una persona si accinge ad esprimere! Soprattuto non è ammissibile se la strada della guerra era già stata preordinata con forniture di armi offensive all’Ucraina ben prima del fatidico 24 febbraio 2022, secondo le indiscrezioni del Washingtonpost e del New York Times. La cosiddetta caduta del muro nell’89, causata, sul piano economico, anche da un’implosione del sistema sovietico trascinato in un’escalation militare spaziale per esso non più sostenbile, poteva essere un’occasione per pianificare a tavolino un nuovo ordine mondiale che finalmente archiviasse la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. La globalizzazione dei mercati, in chiave liberista, ha portato ad un’economia delle multinazionali che dettano legge, pagano tasse irrisorie e determinano gli assetti geopolitici in un sottofondo di inasprimento generalizzato delle disuguaglianze sociali gestito in modo autoritario da una parte e repressivo poliziesco dall’altra. Sempre quel sistema, propagandato come garante della pace perchè legava a doppio filo democrazie e dittature, dittature tra loro e democrazie con democrazie, si è rivelato esso stesso uno strumento potenziale di guerra attraverso le sanzioni e tutta le retorica dell”economia di guerra”. D’altra parte, la limitazione del sistema SWIFT, o gli oscuramenti dei social network, rappresentano sanzioni e rappresaglie belliche nella misura in cui non sono aggirabili a causa di un sostanziale monopolio di un’economia ai danni dell’altra. Siamo quindi alle prove generali, allo stress-test del doppio canale, economico e militare, dei nuovi conflitti con il sottofondo di guerra digitale in cui agiscono altri ”militari” laici, gli hacker, influencer, i produttori di fake-news in entrambi i fronti. Non destano nemmeno più indignazione la nonna ucraina col nipotino intenta a preparare le molotov mentre il papaà è al fronte per difendere la nostra e la loro libertà o la bambina col lecca-lecca in bocca e in braccio il fucile: lottano ”semplicemente” per la nostra libertà! E il presidente Ucraino che incita alla ressitenza ad oltranza non è un politico irresponsabile corresponsabile di un massacro premeditato dei propri elettori ma è un eroe. Siamo al bene contro il male, la follia contro la razionalità, le bombe intelligenti contro quelle infami, ecc. ecc. Assistiamo ad un tripudio di nazionalismo ”buono” e una messa alla berlina di un nazionalismo ”peloso” perchè manipolato dagli oligarchi vicini Putin ognuno titolare di uno o più yacht ora sotto sequestro in qualche porto occidentale. Non vi è dubbio che Putin, burocrate carrierista cresciuto negli apparati più foschi dell’ex URSS, rappresenti il prototipo del cinismo politico arrivista e violento; tuttavia, se lo stereotipo dell'”uomo solo al comando”, un po’ folle e staccato dalla realtà, (salvo poi proporre il modello scaltro della strategia del “fingersi pazzo” come fece a suo tempo Nixon!), per chi studia approfonditamente la storia, non funzionava ai tempi di Hitler, a maggior ragione non può reggere oggi. Cade, infatti, anche il mito del libero scambio globale garante della pace perchè, appunto, scopriamo che c’è sempre un soggetto leader mondiale che tiene in mano una delle varie leve del potere: può essere il sistema GPS, lo SWIFT, internet, ecc.. Il crollo dell’impero sovietico, purtroppo, è stato interpretato come una vittoria dell’occidente sulla tirannia. Questo modello, bianco-ariano, cristiano, democratico e libertario è fondamentalmente superiore a tutti gli altri o comunque superiore a chi, in quel momento, non è più funzionale ai nostri interessi economici o strategici: insomma, una fucilazione come sanzione penale in Cina desta meno repulsione di un’analoga pena comminata in Iran. Il fondamentalismo capitalistico ed estrattivo in cui le persone sono individvidui che competono sul “mercato” del lavoro con il loro merito e le loro competenze e che esistono in quanto consumatori con un certo potere d’acquisto, sul quale si regge l’economia di un PIL “condannato” a crescere perpetuamente, si chiama DEMOCRAZIA LIBERALE. Gli altri fondamentalismi non hanno sinonimi, sono fondamentalismi e basta. Poco importa se quel modello produce ricchi sempre più ricchi in leggero aumento e poveri che restano poveri e altri che lo diventano come da anni avverte OXFAM: questi straricchi, poi, in un modo o nell’altro collegati a società finanziarie che comprano e vendono società o derrate alimentari, combustibili o immobili, affamano o depauperano risorse ambientali o i redditi dei lavoratori e alla fine si scagliano uno contro l’altro, insomma giocano alla guerra alle spalle di noi civili. Sarebbe inutile poi dilungarsi sulle variabili che classificherebbero come democrazie effettivamente compiute, pacifiche fino a prova contraria come quella degli USA, dei paesi europei o quelle dell’ex-blocco sovietico ora nell’UE oppure come autocratiche quelle della Russia, Cina o Egitto, ecc. ecc. ma ciò che è fuori di dubbio è che noi ”occidentali” pensiamo fermamente di essere, tutto sommato, dalla parte ”giusta”. Partendo da questo presupposto, quella forma di guerra ibrida condotta dagli USA nei confronti paesi dell’ex blocco sovietico, fatta di invasione di modelli di consumo consumistici, penetrazione dei social network e fitti rapporti e triangolazioni commerciali e geostrategiche con regimi di dubbia democrazia come i paesi baltici, Romania, Bulgaria, Polonia, Ungheria, ecc., viene invece interpretata come richiesta legittima di libertà, di liberismo economico e di legittima aspirazione di ognuno all’autoimprenditorialità. Sotto questa luce, l’espansione della NATO a est è stata di conseguenza un processo benefico e “generoso” richiesto a gran voce da cittadini finalmente liberi, tanto che si era creata la fila per entrarvi! così come si era creata la fila anche per entrare in europa. Insomma si fa di tutto per incentivare le contrapposizioni, per inasprirle, per creare modelli ”vincenti” e libertari che si contrappongono a modelli nefasti e dittatoriali, salvo poi strungere affari e magari vendere armi: soldi che puzzano a seconda delle convenienze oppure che puzzano dopo aver emanato profumo fino a qualche giorno prima! Qualche anno fa, addirittura colui che oggi viene presentato come un individuo affetto da disturbi cognitivi post-covid, traumi esistenziali risalenti ad un’infanzia infelice, anaffettività e delirante distacco dalla realtà, voleva pure lui entrare nella NATO! Ma la distinzione tra buoni e cattivi, tra meritevoli di possedere l’arma nucleare e chi no, tra democrazie e oligarchie, porterebbe il discorso troppo in là. Roger Waters, bassista dei Pink Floyd riassume bene, in questa risposta ad una sua fan, la posizione di chi non si schiera né dall’una né dall’altra della barricata. Ma questa barricata lungi dall’essere poco combattiva, come sottintendeva Lenin, o peggio qualunquista, si può spingere oltre quel pacifismo che spesso viene tacciato, appunto, di pensiero da salotto o pantofolaio e suggerire anche soluzioni drastiche che in questo momento forse sono più coraggiose che imbracciare un’arma, sicuramente sono più ”trasgressive”: la diserzione in ambo gli schieramenti e l’opposizione non-violenta allo strumento della guerra tanto in Ucraina quanto in Russia illustrata bene in questo appello della rete War Resisters International. In quest’altro articolo di Meltingpot, scritto dopo qualche anno dall’inizio del conflitto silente di Donbass, si spiegano in maniera dettagliata le basi giuridiche del diritto d’asilo della figura del disertore, in questo caso ucraino. Nella misura in cui, come più volte sottolineava Gino Strada, i conflitti non vedono buoni e cattivi su fronti opposti entrambi intenti a limitare più o meno efficacemente gli effetti collaterali delle bombe a grappolo o di quelle intelligenti o ancora degli infallibili droni ma vedono invece una preponderanza di vittime civili (contrariamente ai conflitti precedenti alla prima e seconda guerra mondiale) la diserzione è l’unica strada percorribile. Meglio ancora se alla fonte gli eserciti fossero convertiti in forze di protezione civile armata ma solo contro le calamità naturali o sanitarie e le industrie belliche fossero obbligate a riconvertirsi in imprese impegnate nel new green deal : come molti manifestanti dei movimenti ecologisti affermano, ad esempio quelli scesi in piazza in Francia in occasione delle elezioni presidenziali dove il tema ambientale sembra sorprendentemente sparito, in varie parti del mondo si litiga, si gioca a menare le mani, mentre la nave affonda!

Fascisti su Marte

Non è tanto il sub-umano a torso nudo che entra codardmente nella sede della CGIL a Roma, vuota perchè giorno festivo, mettendola a ferro e fuoco, a preoccupare quanto quella moltitudine silenziosa di cui questa porzione inconsistente della nazione sembra rappresentarne l’opinione su diversi temi: dal complotto cosiddetto immigrazionista, al negazionismo della Shoah o quantomeno ad una sua riconduzione a quantificazioni statistiche più aderenti alla (loro) realtà, dal complotto di Bigpharma in tempi di Covid19 al colpo di Stato contro le c.d. libertà individuali, tra le quali anche anche quella di ammalarsi o morire a causa di un virus peraltro ”inventato”. Il No-vax spesso è associato al No-greenpass, no-mask. Il fascismo, negli anni del consenso, si avvaleva appunto di un consenso peloso, qualunquista ed inetto, individualista ed egocentrato, altrettanto alienato ma dentro la società dei consumi quanto quella porzione di umanità secondo loro soggiogata da un sistema di mass media gestito dalla lobby ebraica e sempre secondo loro, vittima della società dei consumi e dei media mainstream.

Continua l’apartheid (violenta) dello Stato ebraico contro il popolo palestinese

Apartheid è un concetto che fa subito partire l’immaginazione verso il Sudafrica, Nelson Mandela, ecc. ma a pochi viene spontaneo associarlo invece a ciò che ha subito il popolo palestinese, a partire dallo stesso anno ma che a differenza dei fratelli sudafricani, non si è fermato ai primi anni ’90. Ancora oggi continuano gli sfratti dalle case legittimamente possedute dai palestinesi ma questa volta a Gerusalemme che rappresenta un ”laboratorio” di violenze, soprusi, muri divisori. Ad Israele non bastava avere dei territori occupati militarmente e urbanisticamente dai loro coloni che a macchia di leopardo hanno reso impossibile ai palestinesi spostarsi agevolmente anche di pochi chilometri tra una località e l’altra. Coperti dal silenzio della comunità internazionale e quindi agevolati dal clima politico generale, Israele accelera verso la ”soluzione finale’: ed è cosi che decine di famiglie, come avvenne nel lontano ’48 vengono sfrattate per fare posto a fanatici ebrei ortodossi una porzione di popolo israeliano che tiene in pugno il governo quale ago della bilancia: la storia si ripete invariata da oltre ’70 anni anche a causa dell’ossessione demografica dello stato ebraico. Al movimento sionista non bastava raccogliere ebrei un po’ da tutto il mondo per colonizzare la terra promessa, occorreva e occorre ancora oggi arrestare con ogni mezzo la progressione demografica della popolazione araba tradizionalmente più prolifica di quella israeliana: il problema è sia interno, ovvero legato ai palestinesi di passaporto e cittadinanza israeliana, sia esterno cioè i profughi/reclusi di Gaza e Cis-Giordania. In totale disprezzo di qualsiasi raccomandazione dell’ONU, giunte oramai ad accumularsi inutilmente a decine sui tavoli diplomatici, gli israeliani cacciano i legittimi proprietari di case e terreni divenuti trofei di guerra per giovani e arroganti ebrei, il più delle volte ortodossi ultraconservatori, col mitra sempre al collo. Queste pratiche, acceleratesi in questo ultimo periodo, hanno come effetto collaterale scontri violenti in cui a pagarne il prezzo più caro sono sempre in palestinesi, con una proporzione spesso di 1 a 10 ma mai abbastanza sottolineata da quasi tutti i mass media. Intanto all’orizzonte si profila la commemorazione della Nakba mentre politicamente si infiamma il dibattito politico tutto interno ai palestinesi alle prese con le imminenti elezioni.

Le opere inutili: non è andata ”tutto bene”

Pubblico una mail (a pag.3) di Nicoletta Dosio, insegnante, ora pensionata ma più che mai impegnata nella lotta ai soprusi all’ambiente perpetrati da un’economia capitalistica ”estrattiva”. Nel caso del TAV siamo in presenza di un’economia addirittura ”perforante” che infligge buchi, scorie di amianto lasciate qui e là e devastazioni ai piedi delle montagne in Val di Susa che i recenti fatti pandemici, le evidenze scientifiche dello ”spillover” e i cambiamenti climatici dovrebbero indurre a preservarla come patrimonio ambientale sacro. Non è andata ”tutto bene” come vorrebbe far credere la retorica di un regime che ha affrontato la pandemia nel modo peggiore tra tutti i paesi del mondo, col tasso di letalità tra i più elevati, con un numero di operatori sanitari deceduti che urla giustizia, con intere generazioni di anziani che in alcuni distretti sono letteralmente scomparse e con esse la loro memoria storica. Il capitolo RSA rappresenterà la vicenda giudiziaria che arricchirà le cronache giudiziarie nei prossimi vent’anni così come lo sono state quelle riguardanti le morti per amianto. (SEGUE A PAG.2)

”Amici miei” e la super…azzolina

Privato e privato sociale a gogo‘, parrocchie, sale concesse da comuni biblioteche, ecc. ecc. con la scusa della ”scuola nel/sul territorio” e con lo slogan pietistico ”adotta una scuola”: non c’è nulla di concreto nel piano per il cosiddetto rientro in sicurezza a settembre, tanto meno proprio in favore dell’aspetto sanitario visto che non c’è un piano integrato di restauri e/o ampliamenti di ex-edifici del patrimonio scolastico già all’opera o previsto a breve. Quindi quale distanziamento? Sul piano delle risorse umane è inutile girarci intono perché non vi saranno assunzioni aggiuntive ma semmai un po’ di stabilizzazioni (forse) a partire dall’autunno ma con benefici a decorrere dall’a.s 21/22. Il miliardo di investimenti annunciato basterebbe a malapena per assumere in modo aggiuntivo poco meno di 40mila unità ovvero meno del 5% dell’organico attuale ma dal momento che verrà gestito in vari modi dalle Regioni è indubbio che si riuscirà a fare solamente un maquillage delle strutture esistenti e nulla verrà investito in risorse umane che peraltro sarebbero essenziali proprio per le sanificazioni oltre che per garantire un docente ogni 15 allievi come avviene in quei paesi dove la scuola rappresenta un patrimonio prezioso per la comunità da tutelare il più possibile in questi tempi di esigenze di distanziamento. La soluzione è quindi lo scaglionamento orario, gli sdoppiamenti da incastrare con la teledidattica tanto agognata dalle multinazionali delle ICT. Pubblichiamo quindi un documento che fa il punto su tutti gli aspetti distruttivi di questo piano di rientro in pseudo-sicurezza in una pseudo-scuola. Si tratta di un documento condiviso durante un collegio docenti di un prestigioso liceo romano, il Virgilio, e approvato a maggioranza come mozione (prosegue a pag.2) :

Per una scuola di tutti

Pubblichiamo il testo del Comitato permanente per la salvaguardia e il rilancio della scuola della Repubblica
(per aderire: salvaguardiascuolarepubblica@gmail.com)

MANIFESTO COSTITUTIVO
Le notizie che circolano in merito ai “progetti” che si stanno preparando per la scuola hanno sollevato la preoccupazione e l’indignazione di moltissimi insegnanti, genitori, studenti, dirigenti. Esse non possono che allarmare tutte le persone legate alla difesa della scuola della Repubblica.
Abbiamo sentito parlare apertamente di scuola “ibrida”, di “surrogati” degli insegnanti, di “didattica a distanza come modello”, di “rendere permanente il modello attuale”. L’audizione presso la VII Commissione della Camera dei Deputati del Prof. Patrizio Bianchi, Coordinatore del Comitato degli esperti istituito presso il Ministero dell’Istruzione, nonché gli elementi che emergono dal cosiddetto Piano Colao, preoccupano ulteriormente. (SEGUE A PAG.2)

La scuola della Repubblica della Banane

Alla vigilia delle manifestazioni di piazza in tutta Italia per dire NO alla scuola dimezzata, depauperata, dematerializzata, riprendiamo da “Scuola Resistente“, rubrica dedicata a scuola, formazione e dintorni su Radio Onda d’Urto, questo articolo con intervista audio a Davide Borrelli, sociologo dei processi culturali presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Viene argomentata sociologicamente e su alcuni aspetti anche psicologicamente una dura critica a tutta la ”filiera” della formazione-ricerca-educazione preda di un indottrinamento ideologico di stampo neo-liberista che ne svuota tutto il potenziale di carica creativa e di cambiamento verso una società egualitaria, in cui il benessere sia per tutti e non per pochi e ricchi privilegiati. In realtà il processo di degrado e di standardizzazione tecnicistica del comparto ricerca-formazione-scuola che premia le ”eccellenze” (dando più risorse a chi già le ha!) parte da lontano, per opera di una sinistra benpensante e indulgente verso Confindustria e il mondo della finanza, per poi essere completato in modo plateale ma comprensibilmente coerente, da una destra sempre più fascistoide. Dai processi di aziendalizzazione tramite la cosiddetta autonomia scolastica con tutto il corollario di linguaggio e approcci aziendalistici che ne consegue (la mission nel territorio, le competenze, i crediti e i debiti, ecc. ecc.) si finisce oggi con lo sbando più allarmante per di più nel quadro di una crisi economica epocale e di una pandemia che nessuno tra i governanti riesce a gestire in modo efficace senza troppi danni collaterali. (SEGUE A PAG.2)

Manifesto per i diritti e i desideri di bambine, bambini e adolescenti. Salute, spazi pubblici, scuola nell’emergenza Covid-19

Rete Scuola e bambini nell’emergenza covid 19

Pubblichiamo, di seguito, un manifesto prodotto dalla Rete Scuola e bambini nell’emergenza covid 19, una realtà formata da genitori, docenti e educatori che sta tenendo assemblee settimanali dall’inizio della pandemia sul tema dei diritti e della condizione dei minori. Si tratta di un documento che reputiamo convincente per almento due motivi. Il primo è che cerca di respingere ogni tentativo di contrapporre diritti fondamentali: alla salute, al benessere mentale ed emotivo, allo studio, allo spazio e al gioco, alla sicurezza sul lavoro (per gli insegnanti), a un welfare decente che non costringa le madri a casa. Il secondo è che inserisce la scuola nella società senza presentarla come un mondo a parte, così come parla dei bambini prima di tutto come cittadini e poi come alunni e studenti. (SEGUE A PAG.2)

In nome del Coronavirus

Una serie di 6 articoli, (il link alla fine di pag.3 di questa premessa), commentano quello che si sta rivelando come uno degli esperimenti più vasti e pervasivi di controllo sociale della storia fondato su angoscia e paure create ad arte in un mix di scelte politiche contradditorie e conoscenze scientifiche mal divulgate o divulgate ad arte per esercitare un potere che non ha più bisogno della violenza istituzionalizzata perché sia accettato passivamente.

Dall’iniziale minimizzazione del rischio all’induzione del panico provocato da tardive delimitazioni tramite zone rosse associate a quarantene e chiusure di diversi spazi sociali e solo parzialmente dei settori della produzione capitalistica; parallelamente ad una pseudo-preoccupazione paternalistica per la salute di una cittadinanza impaurita, si è affiancata una politica di gestione dell’emergenza dalle ”scarpe di cartone” che ha portato (ad oggi) ad oltre 140 decessi tra i medici ed un tasso di contagio del personale sanitario ancora in ascesa pur trovandoci ormai nella fase ”matura” della pandemia. (SEGUE A P.2)

Covid19 e sociologia: cosa manca alla comunicazione pubblica per evitare una seconda ondata epidemica

Uno studio di Boris Bikbov, MD, Ph.D. presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Bergamo, Italy e Alexander Bikbov, Ph.D. dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris, France

Secondo un recente studio scritto a due mani, l’una medico-scientifica e l’altra sociologica, una parziale o scorretta comunicazione pubblica nei riguardi della popolazione può ingenerare da un lato comportamenti che paradossalmente possono aumentare le possibilità di diffusione del contagio dall’altro rischia di causare danni psicologici nelle reti relazionali domestiche in modo particolare nelle fasce deboli della popolazione. I risultati pubblicati sulle riviste scientifiche più accreditate non vengono divulgate per il grande pubblico per aggiornarlo per esempio su concetti-chiave che hanno risvolti pratici concreti anche nelle misure di contenimento e distanziamento sociale: la carica virale nelle varie fasi del decorso della malattia, il problema degli asintomatici o addirittura le modalità di trasmissione e i comportamenti da assumere di conseguenza.

QUI IL LINK ALLA VERSIONE ITALIANA (a cura di Stefano Bertoldi)

QUI IL LINK ALLA VERSIONE INGLESE

Verso l’immunità di gregge ”forzata” cioè alla Darwin

Dalla Fase II senza progetto di salute pubblica, all’utilizzo del Rivotril in Francia per le persone anziane considerate senza speranza…

Com’è noto l’immunità di gregge si può ottenere vaccinando un’intera popolazione, o ammalandosi tutti e lasciando una scia di decessi dietro e una fetta di popolazione sopravvissuta immune, oppure rimanendo tutti reclusi in casa sine die ma è ovviamente impossibile se non per brevi periodi come quelli stiamo tutti vivendo.

In mancanza di un ”piano”, che non sia solo quello della gradualità e del distanziamento sociale, peraltro inattuabile in certi ambienti di lavoro, la riapertura delle attività lavorative e ”sociali” senza una mappatura molto ampia tramite i test molecolari (tamponi) o test sierologici e conseguenti ulteriori quarantene ”mirate”, si rischia di andare verso un approccio ”darwiniano” proposto in un primo tempo dal Regno Unito e poi negli USA.

Non vogliamo ”eroi” ma semplicemente professionisti

Un documento elaborato dal Comitato Nazionale contro ogni autonomia differenziata sul disastro del SSN italiano

Le Regioni vanno un po’ in ordine sparso e quelle più ricche offrono prestazioni migliori e quelle povere, si spera, non debbano affrontare gli stessi numeri del nord nell’affrontare il Covid19. La pandemia è stata sicuramente affrontata in ritardo e molti errori gravissimi sono stati fatti in momenti cruciali ma a parte i numerosi casi che verranno affrontati dalla magistratura è in questione il disastro di una sanità ”tagliata” e pesantemente privatizzata. Per questo i medici deceduti, ad oggi (14 aprile 2020) 109, sono uno scandalo e vanno considerati non come eroi ma delle vittime di un sistema che ha privilegiato gli interessi di banche, poteri forti, il totem del pareggio di bilancio e per finire il mito del ”privato è bello”, soprattutto al nord. Peccato che le terapie intensive, molto poco remunerative, oggi servano come il pane ma anche ieri,
in tempi non sospetti, se ci fossero state, avrebbero salvato molte più vite . Qui sotto presentiamo la ”guida alla lettura” dell’accuratissimo documento sullo stato della sanità che ha portato, dopo un processo di smantellamento degli ultimi 10 anni, all’odierno collasso del sistema cui il Covid19 ha dato solo l’ultimo colpo di grazia. (a cura di Loretta Mussi, dell’esecutivo nazionale del Comitato contro ogni autonomia differenziata)

La teledidattica ai tempi del Covid19 e del ”fantasma” CINECA

Ovvero del ”regalo” del MIUR alle multinazionali
delle piattaforme


Con un decreto dell’8 aprile 2020 il Governo italiano su indicazione dei ministri competenti per materia ha regolato d’imperio l’uso della teledidattica per mantenere una parvenza di continuità didattica. La prima stonatura, una delle tante nella vicenda del ”distanziamento didattico”, peraltro tardivo, suggerito da ovvie necessità sanitarie, sta proprio in questa necessità di indicarla come imprescindibile, quasi obbligatoria, come se la professionalità e senso del dovere degli insegnanti non bastassero a convincere il ministero di un impegno, ovvio, offerto sul campo.

Lettera aperta affinché la ”voglia di riemergere” non ci faccia ripiombare in un’altra quarantena di massa

Inviata al responsabile nazionale della Protezione Civile, al Primo Ministro e alla responsabile del Servizio Tecnico Scientifico Biologico dell’I.S.S.

egr. dott. Borrelli, Sig.Primo Ministro, dr.ssa Nicolini,

mi chiamo Stefano Bertoldi, sono un insegnante della scuola pubblica ma anche giornalista free-lance e attivista sindacale impegnato come sociologo nelle ricerche condotte dal CESP, Centro Studi Scuola Pubblica dei Cobas della Scuola. Vi scrivo queste poche righe affinché valutiate l’ipotesi di un piano nazionale di screening sugli ”asintomatici” così come descritto dalla ricercatrice Luisa Bracci Laudiero del CNR Immunology Network (Cin) in un recente articolo apparso sull’ADN Kronos. Proprio ieri, infatti, ho raccolto molti consensi tra i miei colleghi e in tutte le reti/chat informali cui partecipo, rispetto all’assoluta necessità di approntare un piano nazionale per l’individuazione attraverso specifici test su prelievi del sangue dei positivi asintomatici oltre che dei soggetti che sono venuti in contatto col morbo e sono ora immuni.

Perché tutto non ritorni come prima: l’appello degli economisti italiani

Mentre al nord si continua a morire e un’intera generazione è falcidiata dal Covid19 con la sola colpa di aver superato l’età fatidica sotto la quale fino a poco tempo fa si prendeva allegramente l’aperitivo gli uni abbracciati agli altri, mentre decine di medici e migliaia tra il personale sanitario si è contagiato, è deceduto o è in quarantena e viene tutt’ora mandato in trincea salvo elogiarli come eroi invece di aiutarli a proteggersi in quanto vittime, mentre tutto ciò accade nella colpevole lentezza di tutti i provvedimenti governativi presi fin qui, un folto gruppo di economisti ci avverte che il modello economico rapace di ieri non può e non deve continuare. Il sotto-testo di ogni dichiarazione dei pubblici poteri è che prima o poi si ripartirà per ”rimettere in moto l’economia”: ma che tipo di economia ? quallo che ha portato in Italia ad un 20%

COBAS della scuola e il kit in vista del concorso straordinario

Per i precari della scuola di terza fascia, alcuni dei quali avevano iniziato a seguire dei corsi preparatori presso le sedi dei COBAS, il sindacato autonomo propone qui di seguito dei documenti essenziali in previsione del concorso straordinario e una riflessione di scenario alla luce della situazione che tutti stanno vivendo.

PUNTO della SITUAZIONE, RESOCONTO 3 INCONTRO, il DA FARSI

VADEMECUM CONCORSO STRAORDINARIO SECONDARIA I e II grado

GUIDA ALA COMPILAZIONE DELLA DOMANDA

ART. 5, comma 3,4,5 – DPR 9 maggio 1994, n.487

Dai ”gilet” gialli agli scioperi generali

Da questa video-inchiesta di Radio Onda d’Urto svolta a Parigi a metà gennaio 2020 emerge chiaramente la continuità tra ciò che fu etichettata come una rivolta sconfusionata, individualisticamente finalizzata alla riduzione del prezzo del carburante e gli scioperi attuali, con sindacati al seguito e rivendicazioni ben strutturate. I gilet gialli hanno in realtà aperto una strada, hanno proposto una modalità e messo alla ribalta, una volta sgombrato il campo dal fraintendimento della cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso, il problema ”globale” della concentrazione delle ricchezze, una disuguaglianza sociale che scuote il mondo alle sue varie latitudini, con varie modalità e rivendicazioni ma con questo leit-motiv comune. Non è un caso che nel video si inquadrino, tra gli altri, anche alcuni luoghi-simbolo di questa ”finanziarizzazione” selvaggia barricati dietro pannelli protettivi anti-manifestanti, QUALI BANCHE E ASSICURAZIONI. D’altro canto anche ai tempi dei gilet gialli altri luoghi simbolo furono presi di mira come le palazzine stile liberty come simbolo di una gentrificazione che ne è il risultato più tangibile, soprattutto per quella massa di pendolari la cui qualità della vita è drasticamente peggiorata in questi ultimi 20 anni. La sconfitta dello stato sociale con il corollario di solidarietà tra nuove e vecchie generazioni (il sistema pensionistico a ripartizione) e l’irruzione dell’ideologia neo-liberista del ”fai da te”, della polizza privata e dei fondi pensione, fanno il paio con la loi-travail precedente (l’equivalente dell nostro Job’s act): precarizzazione e impoverimento generalizzato a vantaggio di una classe dominante condannata, dal modello stesso, ad aumentare i profitti, sono le due parole-chiave ben chiare nelle rivendicazioni che attraversano diverse classi sociali, da quelle medio-basse e subalterne finanche alcuni strati di cosiddetti liberi-professionisti ovvero l’equivalente nostrano del popolo delle partite IVA, molto professionisti ma ben poco liberi perchè in balìa di un mercato implacabile. Così in Francia abbiamo lavoratori di ogni ordine e grado, pensionati, studenti, tutti uniti contro un modello non condiviso di società che lottano, oggi, contro una riforma che noi italiani abbiamo già digerito da anni senza battere ciglio, con sindacati confederali non solo assenti ma addirittura conniventi con il potere, ovvero l’antitesi di un sindacato.

VIDEO-INCHIESTA DI RADIO ONDA D’URTO

La neo-valutazione

L’ideologia della valutazione oggettiva (ANVUR-INVALSI), della ricerca o degli apprendimenti, o come la chiama il sociologo Davide Borrelli la ”neo-valutazione” propone un modello autoritario, asservito all’ideologia neo-liberista che distribuisce premi (soldi) e punizioni (meno soldi) a seconda che ci si adegui o meno al modello produttivistico di stampo aziendale

Davide Borrelli, sociologo dei processi culturali all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli IN QUESTA INTERVISTA SU RADIO ONDA D’URTO ci offre un quadro sconfortante del sistema universitario e della ricerca assediata da quella che lui definisce una ”neo-valutazione”. Si tratta di un armamentario di derivazione economicistica che vuole incasellare ricerca, formazione e istruzione in un quadro standardizzato di controllo e potere finalizzato ad una competitività di stampo neo-liberista, funzionale ad una logica di mercato del sapere e della ricerca che di certo non punta al benessere di una popolazione ma persegue una ferrea logica di profitto. Contro questo approccio culturale che vede pochi protestare ma molti sgomitare per farlo proprio e svolgere un ruolo attivo, si sta preparando un appello con almeno 100 firmatari del mondo accademico che a giugno si faranno sentire in occasione della ricorrenza dei 20 anni del cosiddetto processo di Bologna. Dopo trent’anni di politiche neo-liberiste iniziate con le prime spallate al sistema egualitario, inclusivo e motore di mobilità sociale dei sistemi formativi ai suoi vari livelli, gli effetti della cosiddetta autonomia sono ormai evidenti. I tassi di abbandono permangono più elevati rispetto alla media europea, i costi dell’istruzione sono aumentati e la competitività tra atenei, centri di ricerca e tra istituti di scuole secondarie hanno portato ad una logica di mercato dell’istruzione e ad una mercificazione dei saperi ormai asserviti alle tendenze dei cicli produttivi delle aziende. Le parole d’ordine erano all’epoca, come oggi, ”autonomia”, ”meritocrazia”, ”efficacia ed efficienza della formazione”, ”valutazione della qualità della ricerca”, a prima vista termini neutri o inoffensivi o addirittura condivisibili sul piano teorico. Accanto a questi termini, però, si è assistito negli anni ad crescente bombardamento mediatico teso a delegittimare sia il sistema accademico in toto sia il mondo della scuola dipinto come ricettacolo di insegnanti ”fannulloni” con ben 3 mesi di ferie all’anno. Sul piano accademico si è voluto poi inserire un sistema di valutazione solo apparentemente oggettivo che non teneva in debito conto né dell’ambito specifico di ricerca né della aree territoriali in cui queste si svolgevano e quindi anche delle condizioni di partenza: è così che regioni ricche d’Italia, o aree privilegiate sotto diversi punti di vista, svettano nelle sempre più frequenti classifiche ad uso e consumo dei giornali economici. In una logica di marketing e comunicazione si innescano così dei meccanismi perversi che si auto-alimentano aumentando i divari in una situazione dove andrebbe a beneficio di tutti crescere qualitativamente e quatitativamente in ogni parte d’Italia. Si è finito per redistribuire le già esigue risorse per scuola, università e ricerca, le più risicate d’Europa, ai cosiddetti centri eccellenza, ”meritevoli” quindi di un surplus di fondi. La distinzione doverosa tra ricerca pura ed applicata, tra ricerca sperimentale sul campo o documentaria, in campo umanistico o scientifico non si è mai voluta farla fino in fondo, in modo da dare ad ognuna una propria dignità ed riconoscimento di utilità sociale. Il totem del ”merito” che peraltro non dà a chi non ha ma a chi già ha per citare un vecchio slogan di impronta sociologica e accanto ad esso quello dell”’oggettività” della valutazione considerata alla stregua di una scienza empirico-sperimentale si è imposto a tutti i livelli, determinando di conseguenza premi e punizioni, scuole di ”eccellenza” e centri di ricerca di ”qualità” cui si contrappongono centri di inefficienza, sperpero di risorse e a volte fonti di corruzione. Tutti entrano in competizione con tutti per accaparrarsi fette di una torta sempre più piccola, alla faccia della serendipity e della creatività nella ricerca che imporrebbe al contrario una intensa circolazione di idee, ispirata al concetto di dono, oltre che alla collaborazione e solidarietà, proprio in tempi di ristrettezze economiche ormai cronicizzatesi.

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Disintossichiamoci – Sapere per il futuro

Pubblichiamo l’appello per frenare l’approccio neo-liberista alla ricerca e nella formazione di Davide Borrelli, Valeria Pinto, M.C. Pievatolo e Federico Bertoni in previsione di una raccolta di firme per le ”contro-commemorazioni” a Giugno del processo di Bologna

Disintossichiamoci – Sapere per il futuro “Economics are the methods. The object is to change the soul”. Riferita alle politiche della conoscenza, istruzione e ricerca (ma non soltanto), questa formula di Margaret Thatcher ben riassume il processo che ha contraddistinto gli ultimi decenni. Il metodo economico, la penuria come condizione normale, al limite o al di sotto del limite della sopravvivenza, è visibile a tutti. Anche ben visibile, insieme a quello finanziario, è lo strangolamento burocratico. Meno visibile l’obiettivo. Il cambiamento degli animi è così profondo che non ci accorgiamo nemmeno più della distruzione compiutasi intorno e attraverso di noi: il paradosso della fine – nella “società della conoscenza” – di un mondo dedicato alle cose della conoscenza. Anche l’udito si è assuefatto a una programmatica devastazione linguistica, dove un impoverito gergo tecnico-gestionale e burocratico reitera espressioni dalla precisa valenza operativa, che però sembra essere difficile cogliere: miglioramento della qualità, eccellenza, competenza, trasparenza, prodotti della ricerca, erogazione della didattica… E autonomia, ovvero – per riprendere le parole di Thomas Piketty – l’impostura che ha avviato il processo di distruzione del modello europeo di università. Una distruzione che ha assunto come pretesto retorico alcuni mali – reali e no – della vecchia università, ma naturalmente senza porvi rimedio, perché non questo ma altro era il suo l’obbiettivo. A trenta anni appunto dall’introduzione dell’autonomia, a venti dal processo di Bologna, a dieci dalla “Legge Gelmini”, la letteratura critica su questa distruzione è sconfinata. Ricerca e insegnamento – è un fatto, eppure sembra un tabù esplicitarlo – da tempo non sono più liberi. Sottoposta a una insensata pressione che incalza a “produrre” ogni anno di più, a ogni giro (da noi VQR, ASN ecc) di più, la ricerca è in preda a una vera e propria bolla di titoli, che trasforma sempre più il già esiziale publish or perish in un rubbish or perish. Nello stesso tempo, è continua la pressione ad “erogare” una formazione interamente modellata sulle richieste del mondo produttivo. La modernizzazione che ha programmaticamente strappato l’università via da ogni “torre di avorio” – facendone “responsive”, “service university” – ha significato non altro che la via, la “terza via”, verso il mondo degli interessi privati. Svuotate del loro valore, istruzione e ricerca sono valutate, vale a dire “valorizzate” tramite il mercato e il quasi-mercato della valutazione, che, nella sua migliore veste istituzionale, non serve ad altro che «a favorire (…) l’effetto di controllo sociale e di sviluppo di positive logiche di mercato» (CRUI 2001). Proprio grazie all’imporsi di queste logiche di mercato, la libertà di ricerca e di insegnamento – sebbene tutelata dall’art. 33 della Costituzione – è ridotta oramai a libertà di impresa. Il modello al quale le è richiesto sottomettersi è un regime di produzione di conoscenze utili (utili anzitutto a incrementare il profitto privato), che comanda modi tempi e luoghi di questa produzione, secondo un management autoritario che arriva ad espropriare ricercatori e studiosi della loro stessa facoltà di giudizio, ora assoggettata a criteri privi di interna giustificazione contrabbandati per oggettivi. Si tratta di numeri e misure che di scientifico, lo sanno tutti, non hanno nulla e nulla garantiscono in termini valore e qualità della conoscenza. Predefinire percentuali di eccellenza e di inaccettabilità, dividere con mediane o prescrivere soglie, ordinare in classifiche, ripartire in rating le riviste, tutto questo, insieme alle più vessatorie pratiche di controllo sotto forma di certificazioni, accreditamenti, rendicontazioni, riesami, revisioni ecc., ha un’unica funzione: la messa in concorrenza forzata di individui gruppi o istituzioni all’interno dell’unica realtà cui oggi si attribuisce titolo per stabilire valori, ossia il mercato, in questo caso il mercato globale dell’istruzione e della ricerca, che è un’invenzione del tutto recente.
Là dove infatti tradizionalmente i mercati non esistevano (istruzione e ricerca, ma anche sanità, sicurezza e così via), l’imperativo è stato quello di crearli o di simularne l’esistenza. La logica del mercato concorrenziale si è imposta come vero e proprio comando etico, opporsi al quale ha comportato, per i pochi che vi hanno provato, doversi difendere da accuse di inefficienza, irresponsabilità, spreco di danaro pubblico, difesa di privilegi corporativi e di casta. Tutt’altro che il trionfo del laissez faire: un “evaluative State” poliziesco ha operato affinché questa logica venisse interiorizzata nelle normali pratiche di studio e ricerca, operando una vera e propria deprofessionalizzazione, che ha trasformato studiosi impegnati nella loro ricerca in entrepreneurial researcher conformi ai diktat della corporate university. A gratificarli una precarietà economica ed esistenziale che va sotto il nome di eccellenza, la cornice oggi funzionale a un “darwinismo concorrenziale” esplicitamente teorizzato e, anche grazie alla
copertura morale offerta dall’ideologia del merito, reso forzatamente normalità.
Sono in molti ormai a ritenere che questo modello di gestione della conoscenza sia tossico e insostenibile a lungo termine. I dispositivi di misurazione delle performance e valutazione premiale convertono la ricerca scientifica (il chiedere per sapere) nella ricerca di vantaggi
competitivi (il chiedere per ottenere), giungendo a mettere a rischio il senso e il ruolo del sapere per la società. Sempre più spesso oggi si scrive e si fa ricerca per raggiungere una soglia di produttività piuttosto che per aggiungere una conoscenza all’umanità: “mai prima nella storia
dell’umanità tanti hanno scritto così tanto pur avendo così poco da dire a così pochi” (Alvesson et al., 2017). In questo modo la ricerca si condanna fatalmente all’irrilevanza, dissipando il riconoscimento sociale di cui finora ha goduto e generando una profonda crisi di fiducia. È giunto il momento di un cambiamento radicale, se si vuole scongiurare l’implosione del sistema della conoscenza nel suo complesso. La burocratizzazione della ricerca e la managerializzazione dell’istruzione superiore rischiano di diventare la Chernobyl del nostro modello di organizzazione
sociale.
Quel che serve oggi è quindi riaffermare i principi che stanno a tutela del diritto di tutta la società ad avere un sapere, un insegnamento, una ricerca liberi – a tutela, cioè, del tessuto stesso di cui è fatta una democrazia – e per questo a tutela di chi si dedica alla conoscenza. Serve una scelta di campo, capace di rammagliare dal basso quello che resiste come forza critica, capacità di discriminare, distinguere quello che non si può tenere insieme: condivisione ed eccellenza, libertà di ricerca e neovalutazione, formazione di livello e rapida fornitura di forza lavoro a basso costo, accesso libero al sapere e monopoli del mercato. In questa direzione si delineano alcune tappe. La prima è una verifica dell’effettiva sussistenza e consistenza di questo campo. Un progetto non può avanzare se non si raggiunge una massa minima di persone disposte ad impegnarvisi. Se c’è un’adeguata adesione preliminare – diciamo in termini simbolici 100 persone per partire –organizziamo un incontro a breve per ragionare su politiche radicalmente alternative in fatto di valutazione, tempi e forme della produzione del sapere, reclutamento e organizzazione.
In prospettiva, realizziamo a giugno un’iniziativa in concomitanza con la prossima conferenza ministeriale del processo di Bologna, che quest’anno si tiene a Roma, per avanzare con forza – in raccordo con altri movimenti europei di ricercatori e studiosi (già sussistono contatti in questo
senso) – un ripensamento delle politiche della conoscenza.
Valeria Pinto
Davide Borrelli
Maria Chiara Pievatolo
Federico Bertoni
… per adesioni: sapereperilfuturo@gmail.com, specificando l’università di appartenenza

Chi ha ucciso la Pantera?

Anni 1989/90 nasce la Pantera, movimento studentesco antagonista e propositivo che forse fu fin troppo scomodo e creativo per poter sopravvivere oltre il tempo in cui riuscì, in circa un anno, a produrre una mole notevole di iniziative sociali, di occupazioni di spazi dismessi e di pensiero politico a-partitico lungimirante. Fu tenuto in disparte, demonizzato e criminalizzato, da destra come da sinistra, almeno quella parlamentare e istituzionalizzata. Fu quindi un movimento autenticamente ”scomodo” e pericoloso politicamente, chiaramente e lucidamente orientato ideologicamente e proprio per questo non si tentò nemmeno di cooptarlo. Siamo a cavallo tra la fine di un’epoca contraddistinta dalla tensione geopolitica di due blocchi contrapposti, due dittature, due potenze militari e politiche che traevano il loro potere l’una dal fascino discreto del consumismo pervasivo delle multinazionali e l’altro da una nomenklatura che sebbene a fine corsa tentava ancora di dipingersi come garante di un egualitarismo che in realtà offriva una vita grigia per la maggioranza della popolazione e una vita agiata per pochi gerarchi. Alla fine ”vinse” il primo tra i due contendenti, più accattivante e creativo e più efficace nel suo potere di alienazione di intere masse condannate a produrre per consumare per poi ancora produrre e consumare. Il neo-liberismo ebbe la meglio ed aveva dalla sua un’apparente democrazia che iniziava un suo percorso colorato e mass-mediatico impersonato in Italia da Berlusconi ma che aveva degli alter ego in diversi paesi compresi gli USA dell’attore Reagan e stelle che già si allenavano ad avere un ruolo politico come Trump o Murdoch. Si entrava nella politica-spettacolo fatta di talk-show, operazioni fortemente mediatizzate, personaggi creati ad arte da una regia sapiente che regolava il traffico dei passaggi televisivi. Una volta rodata la macchina mediatica qualche anno dopo si assistette la nascita di uomini politici in erba, dei bimbi, come Renzi o Salvini non a caso ospiti concorrenti della ruota della fortuna o altre amenità di puro intrattenimento. Sullo sfondo vi furono pochi anni dopo quella che poi fu svelata come la trattativa stato-mafia dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio ma soprattutto un cambio-farsa al potere che dopo il periodo di tangentopoli cambiò tutto per non cambiare nulla: tutti i partiti tradizionali, tranne la lega che al tempo era al 100% Lega-Nord Padania indipendente, vennero sostituiti da formazioni polarizzate verso la leadership di un qualche ”personaggio” . La corruzione non finì, anzi divenne sempre più sofisticata ed alzò il tiro ma a livello complessivo scomparvero degli apparati divenuti ormai inutili, i partiti tradizionali, perché il consenso si sarebbe giocato su altri piani, al di fuori delle sedi di partito nei quartieri, nei territori. Anche la mafia non scomparve ma anch’essa alzò il tiro e iniziò a viaggiare sotto traccia grazie alle capacità di colletti bianchi insospettabili che muovevano finanziamenti da una parte all’altra del globo, proprio come Giovanni Falcone tentò di smascherare con i suoi viaggi in Australia e USA. Il neo-liberismo cinico ed arrembante, dopo aver costretto alla resa l’anacronistico potere autarchico dell’URSS ora si faceva largo anche all’interno delle varie agenzie formative europee con parole d’ordine che già negli anni ’90 erano, come oggi, meritocrazia, valutazione, efficienza ed efficacia, competitività, privatizzazione o tutt’al più sussidiarietà tra pubblico e privato. Il neo-liberismo capitalistico si stava finanziarizzando sempre di più fagocitando l’economia industriale e con sé il potere politico ed aveva bisogno di sudditi formalmente ”liberi” ma che attuassero fedelmente il programma di privatizzazione dei beni comuni, compresi la ricerca e la formazione/istruzione. La forza lavoro, però, non era stata totalmente soppiantata dai computer e dai robot andava addomesticata e questo fu fatto tramite processi di precarizzazione e di frammentazione fino ad esaurirne qualsiasi carica ideologicamente orientata e soprattutto facendo passare il messaggio che il miglioramento della situazione di alcune fasce di lavoratori passava attraverso la diminuzione dei diritti di una fetta ancora molto importante di lavoratori ”garantiti”: questi ultimi, dipinti come fannulloni, a volte parassiti, erano in molti casi semplicemente frutto di scambi di voti in intere aree territoriali ma tramite quel tipo di redistribuzione del reddito garantivano comunque alla ”macchina” di girare. Con la scusa della competitività anche nei servizi pubblici e dell’efficientismo intere fasce sociali vennero condannate all’impoverimento generalizzato fino ad arrivare ai giorni nostri in cui una ristretta cerchia di super ricchi detiene ben oltre la metà dell’intero PIL nazionale. Al centro del sistema strategico più importante per la riproduzione culturale di un paese, la scuola, le università e i centri di ricerca furono anch’essi investiti da questa ondata cosiddetta riformista ma alcuni opposero resistenza: fu il movimento della Pantera, antimilitarista, tendenzialmente non violento, anti-neoliberista e anti-berlusconiano che oltre ai suffissi ”-anti” si presento come movimento di proposta con punte avanzate di intuizioni politiche. Queste andavano dalla logica dei beni comuni e dal ripensamento dei processi produttivi in chiave ecologica, ai sistemi di redistribuzione dei redditi che passavano per una scuola ed università non asservita al potere industriale capitalistico. Si pensava ad un’autonomia vera proprio perché indipendente da qualsiasi ingerenza dei poteri economici. Così come in Francia Macron di fronte alle proteste di piazza sta giocando d’astuzia prendendo per stanchezza i dissidenti, all’epoca il partito comunista più grande d’Europa decise di ignorare quasi completamente il movimento pensando che occorresse invece rincorrere la modernizzazione che si traduceva in un riformismo socialdemocratico. Non solidarizzò ma anzi lo condannò con azioni mirate e delegittimazione a mezzo stampa, come la stroncatura di Riccardo Luna su Repubblica. Quelle idee, però, rimasero negli animi e sicuramente mantengono una loro validità per il 90% della popolazione anche oggi e a maggior ragione per il futuro; tuttavia il potere del restante 10% è e fu allora, così sovrastante che ”destra” e ”sinistra” alla fine si sono unite sotto un unico credo per giocare in un teatrino politico dove anche il modello liberale della rappresentanza democratica in parlamento viene sempre più percepito quasi come un impedimento. Oggi sono sufficienti dei buoni algoritmi, una buona squadra di comunicatori e gestori dei diversi canali social e TV, qualche sondaggio e un voto on-line: anche allora la Pantera intuì questo passaggio e tentò con Okkupanet la carta dei social per aumentare la potenza delle occupazioni fisiche delle università che ad ogni modo raggiunsero alcuni casi dei traguardi di durata, fino a 4 mesi consecutivi, oggi impensabili.

La precarietà del lavoro

Un approfondimento (il link qui sotto) di Andrea Fumagalli (Università di Pavia) su Radio Onda Onda Rossa

La precarietà del lavoro è al giorno d’oggi talmente ben articolata, dissimulata e mistificata attraverso operazioni di facciata che ne svuotano la valenza negativa ma solo in termini comunicativi che è veramente difficile districarsi per riuscire a capire dove vuole arrivare il capitalismo neo-liberista attuale sul piano delle retribuzioni e della regolamentazione (o de-regolamentazione). Dal 2018, intanto, i contratti a termine di natura dipendente sono aumentati di circa 1 milione di unità arrivando a toccare i 3 milioni di persone. Si può partire da questo dato, quello più semplice, per capire come il ”lavoro a vita” e soprattutto il concetto di stabilità o anche di progettualità individuale o familiare siano ormai compromessi non solo da queste tappe forzate nel percorso lavorativo di chi inizia a lavorare in questi anni ma anche dall’inconsistenza del cosiddetto contratto ”a tutele crescenti” sul piano delle garanzie per i lavoratori. Questo concetto ha inoltre ancora di più reso il lavoro una sorta di concessione magnanima del ricco imprenditore, peraltro a livello globale sempre più assimilabile ad un fondo di investimento cui poco interessa se in ”basso” si producano microchip, patate o si risponda in un call-center. Accanto a questa forma elementare di percorso accidentato ma pur sempre con buone garanzie, quantomeno nel settore pubblico, in termini di previdenza, assenze per malattie, ferie retribuite ecc. ecc. c’è una selva di tipologie che sono ”a precarizzazione crescente”: si va dal lavoro fintamente (auto) imprenditoriale ”coatto” delle partite IVA, alle prestazioni occasionali, al contratto di apprendistato estensibile fino a 6 anni (a praticamente zero contributi versati), al lavoro a prestazione (o a chiamata) in cui si hanno addirittura due datori di lavoro, entrambi in grado di interrompere rapidamente il rapporto, al ”socio di cooperativa” che anche qui camuffa il lavoratore precario in veste di piccolo imprenditore vagamente ammantato di mutualismo democratico ottocentesco. In questo approfondimento andato in onda su Radio Onda Rossa, l’economista Andrea Fumagalli, dell’Università di Pavia, descrive questa trasfigurazione della realtà lavorativa attuata mediante una manipolazione dei dati sul lavoro che tentano di presentarci una situazione, tutto sommato, accettabile.

Gilets jaunes e scioperi

Finalmente coloro che avevano ancora qualche dubbio sull’impostazione ”politica” dei gilets jaunes, visti da alcuni come dei cani sciolti senza un’idea dietro e soprattutto ”rei” di non essersi dati un leader, secondo l’ABC del perfetto populista, dopo il loro confluire, disordinato, chiassoso, nel movimento altrettanto variegato degli scioperi anti-privatizzazione del welfare francese, dovranno ricredersi. L’idea politica c’è: basta privatizzazioni, meno tasse e più welfare, ritorno al concetto dei ”beni comuni”, redistribuzione equa delle ricchezze che in qualche modo riassume in sé le prime due. D’altro canto il rapporto Oxfam sulla povertà, pubblicato non a caso sempre in concomitanza con il vertice dei ”ricchi” a Davos, da anni afferma che i motivi per protestare sono del tutto plausibili e razionalmente spiegabili. Già l’anno scorso, l’incipit del report affermava che ”nel corso dell’ultimo anno il numero dei miliardari è aumentato come mai prima: uno in più ogni due giorni. La ricchezza dei miliardari si è accresciuta di 762 miliardi di dollari nell’arco di 12 mesi, un incremento che, a titolo comparativo, rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse necessario per far uscire dallo stato di povertà estrema 789 milioni di persone, Di tutta la ricchezza creata nell’ultimo anno, l’82% è andato all’1% della popolazione, mentre il 50% meno abbiente non ha beneficiato di alcun aumento.
Il lavoro pericoloso e scarsamente pagato della maggioranza della popolazione mondiale alimenta l’estrema ricchezza di pochi. Le condizioni di lavoro peggiori spettano alle donne, e quasi tutti i super ricchi sono uomini. I governi devono creare una società più equa attribuendo priorità ai lavoratori comuni e ai piccoli produttori agricoli anziché ai ricchi e potenti”. 

Quando milioni di lavoratori che hanno come unica ricchezza il lavoro che copre le spese vive e pochi altri svaghi e forse una casa dove vivere, si sposta dalle periferie urbane ingrossate dalla gentrificazione arrembante per recarsi al lavoro, magari in macchina perché in nome dell’alta velocità il servizio pubblico è abbandonato a sé stesso, anche un centesimo di tassa in più sul costo della benzina, o come in Cile, sul ticket del bus (privatizzato come in Argentina), rende molto ”nervosi”. Anche perché la loro sofferenza giornaliera, a fronte di un salario da anni in caduta libera in ogni angolo del mondo, si scontra proprio con il lusso di quegli stessi centri urbani dove abitavano un tempo i loro nonni o bisnonni: mangia e bevi – B&B – souvenir – mangia e bevi – B&B – souvenir, questa è la sequenza che caratterizza i luna-park di lusso per turisti di tutte le tasche, dal pittoresco borgo della Toscana, alla città eterna, alla Milano da bere che ha da poco celebrato il festival della rendita finanziaria immobiliare inaugurando quella cattedrale nel deserto chiamata Expo. Quando poi la privatizzazione passa dall’immobiliare alle ”mucche” finanziarie, come il sistema pensionistico e sanitario che in molte parti del mondo entrati a pieno titolo nel circuito profit di banche e assicurazioni, la prospettiva di una vita di sacrifici che sarà negli anni post-lavorativi ancora più segnata dalle difficoltà di vivere. Così da una parte il ”popolo” o moltitudine, secondo una definizione coniata dal filosofo Antonio Negri nel quadro del passaggio dall’imperialismo post-coloniale all’impero attuale che si agita subito dopo aver osservato sulla propria pelle la goccia che travalicava il vaso delle proprie sofferenze/fatiche e dall’altra i ”lavoratori”, più o meno organizzati, sindacati redivivi e gli studenti che hanno capito che quelle pensioni ”povere” alla fine toccheranno soprattutto a loro. Il tranello messo in atto dal ”presidente dei ricchi” Macron fondato sulla creazione di una spaccatura generazionale attraverso diversi compromessi di facciata, per fortuna, in Francia, non ha funzionato. E’ cos’ che in strada, da oltre un mese, scendono centinaia di migliaia di persone contro le privatizzazioni volute dai poteri finanziari e alcune categorie hanno di fatto bloccato un intero paese: far quadrare i conti dello Stato a spese dei lavoratori è semplicemente immorale, privatizzare i profitti e socializzandone le perdite (o i rischi) lo è altrettanto soprattutto quando questa smania di ”riforme strutturali” da anni è nella testa di quei pochi miliardari che detengono e controllano quasi tutta la ricchezza del pianeta. I soldi non sono finiti in un buco nero misterioso! sono solo malamente redistribuiti ed è qui la chiave di volta per risanare i conti pubblici, per pensare ad un welfare universalistico equo e duraturo, una sanità, scuola e trasporti rigorosamente pubblici e di qualità per tutti e alle risorse naturali e i patrimoni culturali come beni comuni e non come occasioni di rendite finanziarie per pochi. D’altro canto non è un caso che proprio per arginare future e plausibili proteste ”di piazza”, da anni si sono fatte strada due linee politiche-amministrative: da una parte il ”mantra” della governabilità che impone tagli ai parlamentari con la scusa della riduzione dei costi inutili e l’erosione della democrazia rappresentativa, giudicata inutile, corrotta, tagliata e delegittimata a suon di piattaforme digitali, strada principale per andare dritti verso il populismo, dall’altra la fissazione securitaria, fatta di giustizialismo sfrenato, telecamere in ogni dove, aumento delle pene e delle dotazioni delle forze del cosiddetto ”ordine” con la scusa del terrorismo internazionale o di un presunto aumento dei reati…che in realtà da oltre vent’anni sono in calo costante. Alcuni movimenti populisti, anche in Italia, facendo leva sulla buona fede di milioni di elettori hanno proposto l’idea di per sé non sbagliata della rappresentanza politica basata sull”amico della porta accanto”, preparato ma senza rendite, con la fedina parlamentare pulita e parallelamente la disintermediazione tramite il plebiscito elettronico. Oggi, come tangentopoli esattamente 20 anni fa, si è scoperto l’arcano di queste messe in scena funzionali ad un cambio di potere nell’ottica gattopardesca del ”cambiare tutto per non cambiare nulla”: e intanto i ricchi sempre più ricchi aumentano e la platea dei poveri si allarga.

Sardine, pesce povero ?

Non si possono esprimere giudizi affrettati, soprattutto nelle scienze sociali nell’era dei social network. Detto questo mi limito a riferire ciò che si è visto in piazza San Giovanni a Roma il 14 dicembre 2019 in occasione di quello che si preannunciava come il maggior raduno di Sardine dopo la puntata iniziale di Bologna poco più di un mese prima. Partecipazione: intorno ai 35-40 mila anche perché un quinto della piazza era presidiata dall’esercito che tutelava il flusso turistico alla Basilica e le strade adiacenti non hanno visto i fiumi di gente che conobbi nella protesta del 2011. Età media: intorno ai 50 anni. Tipologie di gruppi: famiglie con figli, molti gruppi di persone tra i 45-50 fino ai 60-70. Modalità di protesta: sardine di cartone con varie scritte creative, uno striscione, un palco poco amplificato con scaletta di interventi decisa in modo non proprio trasparente e certamente ”mirata” vista la fatica a parlare che hanno sperimentato le Sardine nere venute appositamente da Napoli. Contenuti politici: pochi e poche proposte concrete. Quindi l’appuntamento di piazza San Giovanni, a parte il buon numero di persone che si sono attivate grazie ad un’opera di coinvolgimento dai contenuti molto moderati attraverso i social media di cui il portavoce Matteo Santori è un abile conoscitore si è sostanzialmente limitato ad una ”conta” generale dei corpi in piazza e ad un messaggio estetizzante: ”basta odio nel linguaggio”, ”basta comunicare attraverso i social media (rivolto ai politici con cariche istituzionali)”, ”basta alzare barricate contro i deboli”, ecc. ecc. altre caratteristiche percepite e registrate in piazza: nessun tipo di schieramento partitico ma solamente una chiara appartenenza ad una ”sinistra”, certamente non conflittualista, molto poco rivoluzionaria o sovversiva dello status-quo. La conclusione è quindi che la protesta al momento attuale è più che altro rivolta alle modalità comunicative della politica perché quella stessa sinistra cui si fa riferimento al suono di ”bella ciao” è la stessa che produsse l’autentico e originale decreto sicurezza detto anche ”Minniti” tanto che il secondo è stato nominato sobriamente decreto sicurezza ”bis”… si dimentica che quella sinistra progressista è la stessa che con l’aiuto degli immancabili servizi ha elargito denaro, appoggio logistico e formazione professionale ai trafficanti di esseri umani in cambio di un blocco delle partenze dai loro lager in Libia (la trattativa dell’estate del 2017 denunciata da Nello Scavo sulle pagine di Avvenire), la stessa che rese visita ufficiale in Arabia Saudita e agevola i contratti di acquisto di armi usate poi nello Yemen, la stessa che tace sull’operato di un dittatore sanguinario quale Erdogan in Turchia che in cambio di 6 miliardi blocca le frontiere ai flussi migratori da est, la stessa che ha massacrato la scuola con la cosiddetta ”buona scuola” o dato il colpo di grazia allo statuto dei lavoratori con il ”job’s act”, ecc. ecc. Potremmo tornare indietro di qualche anno e ricordare il primo atto di guerra e quindi anticostituzionale contro la Serbia nel 1999, oppure le varie leggi per l’ulteriore precarizzazione del lavoro a partire dal Co.Co.Co.. Si potrebbe tornare indietro e in tema di immigrazione ricordare la legge Turco-Napolitano, oppure la mancata approvazione dell’unica modalità di inclusione effettiva cioè lo ius soli; ma per sentire dal vivo gli ”umori” della piazza messi sotto pressione da alcune domande volutamente provocatorie ecco qui 8 interviste per Radio Onda d’Urto che confermano, l’ipotesi di una tiepida o assente rimessa in discussione dei valori neo-liberisti del capitalismo finanziario attuale e di una istanza molto ”estetizzante” della comunicazione politica e del ”fare” politica.

Ulteriori commenti nell’articolo apparso ne la ”Bottega del Barbieri

INTERVISTA 1
INTERVISTA 2
INTERVISTA 3
INTERVISTA 4
INTERVISTA 5
INTERVISTA 6
INTERVISTA 7
INTERVISTA 8

Migranti: l’Italia, sotto processo, non può più dire ”non sapevamo”

Oggi 3 dicembre 2019 l’Italia va sotto processo per un mancato soccorso o meglio per ritardi negli stessi come è avvenuto in altri casi simili e spesso sempre al largo delle coste di Lampedusa: si tratta della tragica giornata dell’11 ottobre 2013 che lasciò in fondo al mare circa 300 persone che si adagiarono sul fondo accanto ad altre 368 persone pochi giorni prima affogati anch’essi per ritardi, incomprensioni e negligenze. Un’ecatombe cui noi civilizzati europei, costruttori di armi, sfruttatori di risorse naturali che renderebbero i paesi di provenienza potenzialmente più ricchi di noi, non possiamo più far finta di non vedere. Le strumentalizzazioni politiche che poi si sono scatenate intorno questo problema che è divenuto tale a causa dei permessi non accordati nei paesi di origine e canali umanitari mai attivati se non per piccoli numeri, hanno ormai assuefatto gli italiani divisi in ”pro-invasione” e ”contro l’invasione” come fossero due forme di tifo da stadio, due opinioni come tante che si affrontano sui social tramite tastiere tanto infiammate quanto superficiali. Mentre l’Italia muore di vecchiaia e vede fuggire all’estero le sue giovani risorse, i suoi territori di ”periferia”, le montagne, gli insediamenti pedemontani si svuotano e si degradano ma con tutto ciò non si accoglie chi viene da fuori e che è obbligato alla migrazione, anche a costo della vita. La realtà del nostro sistema capitalistico è che ad esso occorre un numero crescente di lavoratori ricattabili, atomizzati, non sindacalizzati per cui oltre alla crescente precarizzazione anche nell’ambito del cosiddetto lavoro ”a tempo indeterminato” per i cittadini italiani, la presenza di persone che possano accettare il ricatto del lavoro nero sottopagato e invisibile rappresenta una utile risorsa. Salari in discesa, accentramenti di ricchezze esorbitanti, evasioni fiscali miliardarie da parte di multinazionali che dettano legge a paesi-nazione fantasmi di sé stessi, rappresentano il brodo di coltura ideale per una forza lavoro smarrita e pronta a tutto. Il cinismo dei governanti che strumentalizzano da destra e da sinistra questo fenomeno ha raggiunto livelli rivoltanti ma un giorni i nodi verranno al pettine e qualcuno ne dovrà rendere conto: il 3 dicembre 2019 rappresenta una piccola tappa di questa resa dei conti ma la via giudiziaria, ovviamente, non risolve il problema…

A 50 anni dalla strage di Stato

La strage di Stato: LINK ALLE INTERVISTE DI RADIO ONDA D’URTO A DANIELE BARBIERI (UNO TRA I NUMEROSI AUTORI DEL LIBRO ”LA STRAGE DI STATO” E LELLO VALITUTTI MILITANTE ANARCHICO

Il 12 dicembre 1969 a Milano, nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana, alle 16:37 una bomba scoppia. Bilancio: 17 morti (14 sul colpo) 87 feriti di cui alcuni mutilati per sempre. L’Italia all’epoca rappresentava una ”democrazia” sotto tutela USA caratterizzata da un esercizio del potere violento e repressivo ai vari livelli della struttura sociale, dalle fabbriche al sistema scolastico, al potere patriarcale nelle famiglie. Qualcosa però si stava muovendo all’interno di ciascuna di queste dimensioni sociali e in modo a volte molto forte, molto più spesso ”scomodo” per chi si riteneva depositario della rappresentanza del mondo del lavoro ovvero il più grande partito comunista d’Europa dell’epoca, il P.C.I. Questo antagonismo extraparlamentare che si esplicitava anche con manifestazioni di piazza che portavano centinaia di migliaia di persone per strada ogni volta, andava fermato con la paura, con l’insicurezza generata, appunto, dalla bomba. Dal momento dello scoppio fino ai giorni nostri la lista dei depistaggi, delle accuse infondate, delle morti ”oscure” di testimoni che avrebbero potuto parlare o di testimoni mai interrogati è lunghissima e si conclude con sentenze giudiziarie azzoppate. Il disegno ”contro-rivoluzionario” che stava dietro quella serie infinita e ben orchestrata di attentati portati a termine o falliti per pura fatalità era opera dello Stato italiano nella misura in cui il racconto dei ”pezzi dello Stato deviati” o delle ”poche mele marce” perde di credibilità di fronte una regia così complessa e ramificata. Questa fu l’ipotesi che un gruppo consistente di provetti giornalisti d’inchiesta, fino a 50 giovani impegnati in ricerche, pedinamenti, raccolta di dati d’archivio o sul posto anche in incognito, riuscì a dimostrare in soli 6 mesi dallo scoppio della bomba. Pochi furono i mezzi materiali ed economici che sostennero l’impresa e misere furono le donazioni di personaggi della sinistra dell’epoca che potremmo definire ”radical chic” e solo un uomo, invece, si distinse nell’appoggiare in modo consistente, Pier Paolo Pasolini.
Il libro ”La strage di Stato”, ha precisato Daniele Barbieri, uno degli autori in occasione della tappa romana di presentazione del libro presso ‘l’Archivio dei Movimenti, ”ha rappresentato un esempio di inchiesta dal basso, cui hanno contribuito giovani e meno giovani di tutta Europa che hanno fornito dati, notizie e hanno effettuato anche inseguimenti e indagini rischiose anche nei luoghi di riunione dei fascisti”. Alla serata di presentazione ha partecipato anche Lello Valitutti, un anarchico testimone diretto del primo principale depistaggio dello Stato eseguito dal commissario Calabresi nei locali della Questura di Milano ai danni dei primi due capri espiatori creati ad hoc, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda: lui era lì, nel corridoio accanto la stanze dove accadevano fatti indicibili e ha raccontato dei movimenti all’interno degli uffici e testimoniato delle azioni volte a cambiare la scena del delitto. Secondo l’opinione pubblica che solo dopo un po’ di tempo ha scoperto l’inganno (e forse anche oggi non nella sua totalità) si trattò di un fatale errore o, per i meno ingenui, appunto, dei capri espiatori. In realtà Pinelli e Valpreda erano molto attivi sul campo politico con azioni concrete di sostegno ed organizzative a favore dei movimenti che si stavano opponendo alle due dittature europee dell’epoca, quella spagnola e quella greca. Valitutti ha però voluto attualizzare quell’evento e con esso le stragi, riportandole a quelle odierne dove i depistaggi non sono scomparsi e nemmeno la propaganda volta a creare lo stesso sentimento di insicurezza e di paura sebbene con strumenti comunicativi più raffinati e pervasivi.
In assenza di una polarizzazione USA-URSS o tra comunismo e capitalismo, il nemico attuale è l”’altro” da noi, è il diverso, l’immigrato, l’anticonformista libertario. Si è fatto quindi un logico parallelismo fra quella strage di Stato e le attuali stragi silenziose consumate lungo la rotta più tragica del mondo, quella mediterranea, sotto la quale giacciono decine di migliaia di corpi. Parliamo di persone che come i nostri nonni o i nostri fratelli che anche oggi, a centinaia di migliaia lasciano l’Italia, erano in fuga verso una speranza di vita migliore. Tutto ciò avviene, salvo poche eccezioni – ha spiegato Valitutti – sotto una sostanziale indifferenza frutto di un’azione diretta e normalizzatrice come quella attuata del decreto Minniti e quella più roboante di Salvini. La tecnica è sempre la stessa, la paura artificiosamente creata dal potere insieme al ”calmante” per attenuarla che convince una moltitudine di persone ”atomizzate”, lavoratori i quali, chi più chi meno, sono precari intenti ognuno nel proprio piccolo a conservare quel poco che nella vita sono riusciti a ritagliarsi”. ”Ciò che ha caratterizzato l’impresa di quella contro-inchiesta – ha poi sottolineato Barbieri – è stata invece la fitta rete di scambio di informazioni, di solidarietà, tra gruppi e sottogruppi non in lotta fra loro per avere una propria visibilità mediatica ma accomunati dalla lotta contro un nemico comune, chiaro e ben individuabile, lo Stato”. Anche perché questa strage di Stato, come ci ricorda Guido Salvini, un magistrato che seguito nell’arco di questi 50 anni una breve porzione dell’iter giudiziario, ha dei responsabili con nomi e cognomi precisi e ben noti e noi potremmo aggiungere che non furono delle schegge impazzite o alcune (poche) mele ”marce”.

Chi semina miseria, raccoglie collera

Nel titolo vi è lo slogan esemplificativo delle motivazioni sottostanti di un movimento, il cosiddetto movimento dei ”Gilets jaunes” (Gilet gialli) francese che in questi giorni compie un anno esatto di vita; il titolo, inoltre, non ha bisogno di spiegazioni, dal momento che ormai è chiaro a tutti che l’aumento di pochi centesimi sul prezzo – già alto – della benzina è stato unicamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso; un vaso che è anche quello di Pandora. In realtà, infatti, le politiche neo-liberiste, in Francia come in molte parti del mondo dove non a caso nascono proteste spontanee e a volte imprevedibili, ognuna delle quali è in un modo o nell’altro tesa ad abbassare i salari della classe lavoratrice e le tasse a quella imprenditoriale, sono alla base di tutti questi sommovimenti, con poche differenze l’uno dall’altro. Le differenze non sono consistenti perché il modello capitalistico, predatorio ed ”estrattivo”, volendo adottare un termine che si ricollega alla presa di coscienza mondiale in chiave ecologista, è ovunque più o meno lo stesso: le vere differenze stanno nel livello di benessere da cui si parte e nel livello di democraticità politica cui questo è associato. In Francia, per esempio, il modello sta lentamente andando in tilt, perché in presenza di un welfare tutto sommato ancora prodigioso rispetto all’Italia, questo sta però subendo da un lato l’azione combinata del calo demografico cui va sommato un innalzamento della vita media e su altri versanti un abbassamento del PIL annuo e gli effetti della cosiddetta ”crisi economica”: le classi sociali sulle quali farne ricadere il costo di tale crisi ormai strutturale, sono appunto quelle lavoratrici che poi scendono in piazza. Per classi lavoratrici si intendono quelle formate da lavoratori salariati, i precarizzati dalle mille sfaccettature a seconda del paese sempre più in balìa di un ”mercato” del lavoro dove il salario, voce di spesa ”scomoda” e quindi per definizione contraibile da parte del capitale, è inversamente proporzionale al numero di persone disposte ad accettare stipendi sempre più bassi.

In questo LINK interviste e resoconti del movimento su RADIO ONDA D’URTO e in questo LINK il documento ufficiale elaborato da alcuni attivisti a compimento del primo anno di vita, con resoconti, storia. motivazioni, tecniche di lotta e prospettive.

Stato violento e repressivo

Ilaria Cucchi: «L'amore con Fabio è un regalo di mio fratello Stefano»

Dieci anni di depistaggi professionalmente organizzati da chi se ne intende, ovvero dai marescialli che hanno ”addomesticato” i resoconti fin dal primo fermo e via via nei vari percorsi tra una caserma e l’altra, il tribunale e poi i vari ricoveri fino ai massimi livelli gerarchici dell’Arma che hanno di fatto costituito un substrato fatto di pressioni e muri di gomma foderati di omertà. Il dato di fatto è che per una settimana il diritto si è fermato così come il senso di umanità e di protezione che dovrebbe accompagnare ogni iter di assistenza sanitaria per ogni paziente e forse ancor di più per chi è già sottoposto a misure restrittive della libertà. Uscire dal sentimento di vendetta e dall’idea che il comportamento considerato come deviante da una società meriti la sospensione di ogni sentimento di umanità e anche del diritto nei confronti di chi lo commette è ciò che dovrebbe distinguere uno stato ”progredito” come noi italiani ci vantiamo di essere. Abbiamo assistito a dieci anni di ”rallentamenti” giudiziari e buchi nell’acqua per il buon nome di un corpo militare pur in presenza dell’evidenza delle immagini del pestaggio che provvidenzialmente furono scattate. In quella settimana tragica la burocrazia ha indossato il suo vestito più cinico e spersonalizzante nei confronti della vittima ma personificando alla lettera la ”banalità del male” solo che nessuno si è opposto a quel martirio, nessuno si è posto dei dubbi se non sulla convenienza o meno di interromperlo: evidentemente è stata più forte l’idea di consegnare ad altri la ”patata bollente”. La battaglia che i famigliari di Stefano Cucchi, in primis la sorella, hanno dovuto combattere è valsa il doppio perché combattuta in parallelo all’altrettanto dura guerra contro stereotipi, pregiudizi e ”cattiverie” dell’opinione pubblica sui social, su alcuni giornali e sdoganate da molti politici che a tutt’oggi cavalcano l’onda ”benpensante” e cinica del ”… se l’era andata a cercare” che peraltro poco c’entra con il fondamento di uno Stato di Diritto. Oggi, come dieci anni fa, alcuni politici o meglio alcuni burattini malvagi che aizzano odio con slogan studiati a tavolino e poi lo cavalcano, proseguono nel filone ”giovanardiano” (dal politico Giovanardi…) dei danni, anche ”collaterali” tra cui appunto quello subito da Stefano Cucchi, dell’uso degli stupefacenti. Si tratta ovviamente di un pensiero stereotipato, tendenzioso e retrogrado che non tiene conto ipocritamente dei danni dell’alcool e del tabacco o degli psicofarmaci in costante crescita nelle rivendite legali. Si prosegue nell’attribuire alla droga tout court una serie di conseguenze che vanno dall’omicidio efferato ai comportamenti anche minimamente devianti quando invece tali comportamenti rappresentano la prova provata di un mix di condizioni sociali, culturali, socioeconomiche associate ad una più o meno consapevole capacità di discernere tra il bene e il male. Oggi quel corpo ha avuto giustizia ma la tardiva e un po’ inutile costituzione come parte civile dell’Arma, l’incompleto accertamento delle responsabilità medico-sanitarie e soprattutto i molti casi irrisolti come Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, ecc. ecc. devono farci riflettere sul modello di società civile che si sta facendo largo a suon di repressione e ”decoro”: la situazione carceraria italiana, più volte condannata dalla corte europea per i diritti dell’uomo, la tendenza generalizzata alla psichiatrizzazione del disagio o semplicemente del comportamento non conforme anche nella Scuola sono solo alcuni dei segnali nemmeno troppo deboli da … ”attenzionare”.

Dieci anni di depistaggi professionalmente organizzati da chi se ne intende, ovvero dai marescialli che hanno ”addomesticato” i resoconti fin dal primo fermo e via via nei vari percorsi tra una caserma e l’altra, il tribunale e poi i vari ricoveri fino ai massimi livelli gerarchici dell’Arma che hanno di fatto costituito un substrato fatto di pressioni e muri di gomma foderati di omertà. Il dato di fatto è che per una settimana il diritto si è fermato così come il senso di umanità e di protezione che dovrebbe accompagnare ogni iter di assistenza sanitaria per ogni paziente e forse ancor di più per chi è già sottoposto a misure restrittive della libertà. Uscire dal sentimento di vendetta e dall’idea che il comportamento considerato come deviante da una società meriti la sospensione di ogni sentimento di umanità e anche del diritto nei confronti di chi lo commette è ciò che dovrebbe distinguere uno stato ”progredito” come noi italiani ci vantiamo di essere. Abbiamo assistito a dieci anni di ”rallentamenti” giudiziari e buchi nell’acqua per il buon nome di un corpo militare pur in presenza dell’evidenza delle immagini del pestaggio che provvidenzialmente furono scattate. In quella settimana tragica la burocrazia ha indossato il suo vestito più cinico e spersonalizzante nei confronti della vittima ma personificando alla lettera la ”banalità del male” solo che nessuno si è opposto a quel martirio, nessuno si è posto dei dubbi se non sulla convenienza o meno di interromperlo: evidentemente è stata più forte l’idea di consegnare ad altri la ”patata bollente”. La battaglia che i famigliari di Stefano Cucchi, in primis la sorella, hanno dovuto combattere è valsa il doppio perché combattuta in parallelo all’altrettanto dura guerra contro stereotipi, pregiudizi e ”cattiverie” dell’opinione pubblica sui social, su alcuni giornali e sdoganate da molti politici che a tutt’oggi cavalcano l’onda ”benpensante” e cinica del ”… se l’era andata a cercare” che peraltro poco c’entra con il fondamento di uno Stato di Diritto. Oggi, come dieci anni fa, alcuni politici o meglio alcuni burattini malvagi che aizzano odio con slogan studiati a tavolino e poi lo cavalcano, proseguono nel filone ”giovanardiano” (dal politico Giovanardi…) dei danni, anche ”collaterali” tra cui appunto quello subito da Stefano Cucchi, dell’uso degli stupefacenti. Si tratta ovviamente di un pensiero stereotipato, tendenzioso e retrogrado che non tiene conto ipocritamente dei danni dell’alcool e del tabacco o degli psicofarmaci in costante crescita nelle rivendite legali. Si prosegue nell’attribuire alla droga tout court una serie di conseguenze che vanno dall’omicidio efferato ai comportamenti anche minimamente devianti quando invece tali comportamenti rappresentano la prova provata di un mix di condizioni sociali, culturali, socioeconomiche associate ad una più o meno consapevole capacità di discernere tra il bene e il male. Oggi quel corpo ha avuto giustizia ma la tardiva e un po’ inutile costituzione come parte civile dell’Arma, l’incompleto accertamento delle responsabilità medico-sanitarie e soprattutto i molti casi irrisolti come Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, ecc. ecc. devono farci riflettere sul modello di società civile che si sta facendo largo a suon di repressione e ”decoro”: la situazione carceraria italiana, più volte condannata dalla corte europea per i diritti dell’uomo, la tendenza generalizzata alla psichiatrizzazione del disagio o semplicemente del comportamento non conforme anche nella Scuola sono solo alcuni dei segnali nemmeno troppo deboli da … ”attenzionare”.

Dieci anni di depistaggi professionalmente organizzati da chi se ne intende, ovvero dai marescialli che hanno ”addomesticato” i resoconti fin dal primo fermo e via via nei vari percorsi tra una caserma e l’altra, il tribunale e poi i vari ricoveri fino ai massimi livelli gerarchici dell’Arma che hanno di fatto costituito un substrato fatto di pressioni e muri di gomma foderati di omertà. Il dato di fatto è che per una settimana il diritto si è fermato così come il senso di umanità e di protezione che dovrebbe accompagnare ogni iter di assistenza sanitaria per ogni paziente e forse ancor di più per chi è già sottoposto a misure restrittive della libertà. Uscire dal sentimento di vendetta e dall’idea che il comportamento considerato come deviante da una società meriti la sospensione di ogni sentimento di umanità e anche del diritto nei confronti di chi lo commette è ciò che dovrebbe distinguere uno stato ”progredito” come noi italiani ci vantiamo di essere. Abbiamo assistito a dieci anni di ”rallentamenti” giudiziari e buchi nell’acqua per il buon nome di un corpo militare pur in presenza dell’evidenza delle immagini del pestaggio che provvidenzialmente furono scattate. In quella settimana tragica la burocrazia ha indossato il suo vestito più cinico e spersonalizzante nei confronti della vittima ma personificando alla lettera la ”banalità del male” solo che nessuno si è opposto a quel martirio, nessuno si è posto dei dubbi se non sulla convenienza o meno di interromperlo: evidentemente è stata più forte l’idea di consegnare ad altri la ”patata bollente”. La battaglia che i famigliari di Stefano Cucchi, in primis la sorella, hanno dovuto combattere è valsa il doppio perché combattuta in parallelo all’altrettanto dura guerra contro stereotipi, pregiudizi e ”cattiverie” dell’opinione pubblica sui social, su alcuni giornali e sdoganate da molti politici che a tutt’oggi cavalcano l’onda ”benpensante” e cinica del ”… se l’era andata a cercare” che peraltro poco c’entra con il fondamento di uno Stato di Diritto. Oggi, come dieci anni fa, alcuni politici o meglio alcuni burattini malvagi che aizzano odio con slogan studiati a tavolino e poi lo cavalcano, proseguono nel filone ”giovanardiano” (dal politico Giovanardi…) dei danni, anche ”collaterali” tra cui appunto quello subito da Stefano Cucchi, dell’uso degli stupefacenti. Si tratta ovviamente di un pensiero stereotipato, tendenzioso e retrogrado che non tiene conto ipocritamente dei danni dell’alcool e del tabacco o degli psicofarmaci in costante crescita nelle rivendite legali. Si prosegue nell’attribuire alla droga tout court una serie di conseguenze che vanno dall’omicidio efferato ai comportamenti anche minimamente devianti quando invece tali comportamenti rappresentano la prova provata di un mix di condizioni sociali, culturali, socioeconomiche associate ad una più o meno consapevole capacità di discernere tra il bene e il male. Oggi quel corpo ha avuto giustizia ma la tardiva e un po’ inutile costituzione come parte civile dell’Arma, l’incompleto accertamento delle responsabilità medico-sanitarie e soprattutto i molti casi irrisolti come Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, ecc. ecc. devono farci riflettere sul modello di società civile che si sta facendo largo a suon di repressione e ”decoro”: la situazione carceraria italiana, più volte condannata dalla corte europea per i diritti dell’uomo, la tendenza generalizzata alla psichiatrizzazione del disagio o semplicemente del comportamento non conforme anche nella Scuola sono solo alcuni dei segnali nemmeno troppo deboli da … ”attenzionare”.

W il Re! W Verdi!

W Verdi! il vecchio slogan-parola d’ordine (Vittorio Emanuele Re d’Italia) con cui l’élite in platea di un qualche teatro italico si auto-motivava nel proprio intento di appoggiare, finanziare e difendere la guerra di annessione dei Savoia durante quello che fu definito il Risorgimento Italiano sembra riemergere ma con nuove parole d’ordine o meglio parole-chiave; ebbene nel bel mezzo di un dibattito-contrattazione tra governo e rappresentanze delle Regioni (al momento, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) che si sta svolgendo nella quasi assoluta indifferenza dei media main-stream e dell’opinione pubblica e che porterà a quella che molti autori definiscono come una SECESSIONE DEI RICCHI (vd. libro del costituzionalista Massimo Villone, Italia divisa e diseguale) ed attuare un vero e proprio inganno (vd. articolo di Gianfranco Viesti) ad opera delle regioni ricche, la cosiddetta ”Famiglia Reale” lancia un APPELLO sibillino riguardo un proprio fantomatico rientro in Italia. Si tratta ovviamente di un video folkloristico e avvilente nel 2019 ma visto il percorso sociale italiano e il clima politico attuale e quello che si paventa per l’immediato futuro è interessante evidenziare alcune parole-chiave: innanzitutto la famiglia reale è scritta anteponendo i due capolettera con le lettere maiuscole come se fosse un’entità statuale istituzionalizzata ed ufficializzata. Poi nel discorso compaiono alcune parole chiave come TRANQUILLITA’ ovvero in analogia a quella pace sociale invocata dalla gente ”per bene” negli anni venti precursori del fascismo che in qualche modo la garantirono con varie forme repressive ma a fronte di conclamati sommovimenti popolari e proletari. Al momento nessuna goccia rischia di fare traboccare il vaso come in Cile, Hong-Kong, Egitto o la Francia dei gilet gialli più vicini a noi, quindi a quale scopo rispondere ad una presunta richiesta di tranquillità. Compare poi il concetto di ELEGANZA che dalle parole di un nobile suona quanto mai coerente e convincente ma in una società laica potrebbe facilmente accostarsi al concetto di DECORO (anche urbano), compostezza, necessità di ”abbassare i toni”, ecc. ecc. Poi immancabile è il senso del DOVERE quindi ancora una volta il richiamo alla legalità perché l’obbligo nasce prima di tutto sulla spinta di una norma: non compaiono quindi parole chiave alternative riferite alla classe dirigente che imporrebbero un riferimento il ”dovere di perseguire una giustizia e uguaglianza sociale” ma nemmeno concetti quali FELICITA’, BENESSERE, DIGNITA’ da declinare in termini di dignità del lavoro e di qualità della vita…per ognuno. Quindi emergono indicazioni e rassicurazioni dall’alto di una fonte attendibile e credibile sui temi della legalità, della pace sociale e infine del decoro che secondo il senso comune è ”buona educazione”. Visto l’arrivo imminente di un regime compiutamente xenofobo, omofobo, giustizialista, fondato sul sacro trinomio DIO-PATRIA-FAMIGLIA un appello monarchico fintamente rassicurante in luogo di uno che più logicamente dovrebbe puntare all’impegno verso una più equa ripartizione delle ricchezze e a maggiori investimenti nella cosa pubblica al posto dei tagli ricorrenti, c’è tutt’altro che essere rassicurati!

Un incontro in carcere

Mulhouse è un’antica città industriale ma in fase di rapida e vivace riconversione. Accanto, a pochi chilometri, è presente una delle più grandi fabbriche automobilistiche, la notissima Peugeot e in città non poteva quindi mancare un museo, ovviamente, dell’auto. Non tutti però sanno che Mulhouse è anche sede del più antico carcere francese datato 1871 un anno che evoca guerre e lotte sociali che sfociarono in una delle più interessanti ed innovative esperienze di organizzazione di ispirazione socialista, la Comune di Parigi. Il carcere, edificato dai tedeschi, in quanto posizionato in un territorio dove per secoli i due eserciti franco-tedeschi si sono contesi quel ricco e strategico territorio ha quindi una fisionomia ”antica” e i suoi locali incutono un certo timore rievocando immagini sepolte nella memoria di vecchi film dove le celle, a vista e allineate lungo balconi con balaustre in ferro, si sovrappongono lungo tre o più piani orizzontali, anch’essi a vista demarcati da reti anti-caduta in corda di fibra naturale. Il progetto prevede un carcere di nuova generazione, già pronto ma gli ultimi dettagli ancora da mettere a punto. In un contesto a tinte fosche si è quindi svolto un incontro cui avrebbero dovuto partecipare circa una trentina di persone che a causa dei mille imprevisti, tipici di una ”casa circondariale”, si sono dimezzate a causa di assenze ”giustificate”. La platea, composta e silenziosa, dava la sensazione ad un tempo della sofferenza interiore e della rassegnazione ma tuttavia la curiosità non era narcotizzata, tutt’altro… Alcuni hanno probabilmente ricollegato i racconti e le testimonianze a storie di persone vicine o a parenti, amici e lo stimolo delle immagini e dei suoni hanno reso molti occhi lucidi. Nessuno avrebbe pensato ad una tale reazione ma scrollandosi di dosso i molti stereotipi sulla vita carceraria, ci si rende conto che l’umanità ristretta non è affatto diversa da quella che a pochi metri al di là dei reticolati circola liberamente; alcuni stimoli provocano evidentemente medesime emozioni o analoghe associazioni di idee. La prima impressione dei detenuti è stata di incredulità o comunque di ”scoperta” e stupore grazie ad un racconto unitario fatto allo stesso tempo di testimonianze dirette, immagini di ”repertorio” e testimonianze virtuali di migranti visibili nei video-documenti: i numeri della tragedia, la vastità e complessità del tema che cinicamente viene strumentalizzato dalla classe politica in due opposte visioni, una, la più deleteria e criminale, tesa all’odio, alla divisione e alla chiusura egoistica nei propri confini al di qua dei tanti muri, l’altra, altrettanto cinica tesa ad un pietismo di facciata alimentato da forti sensi di colpa e per questo inconcludente. Nessuna delle strumentalizzazioni, sia quella ”buona” né tantomeno quella ”cattiva” va al di là dell’obiettivo a breve termine di un qualche risultato elettorale: l’umanità spesso si perde tra i numeri ed è solo quando ci si concentra su l’emergenza ”tout court” del naufragio, sul volto del naufrago in cui per un attimo si è vista personificata la vicenda di un amico o di un famigliare che non ce l’ha fatta che l’emozione viene a galla, diversamente dalle decine di migliaia di corpi oggi in fondo al mare. Tutti hanno diritto a vivere felici, a salvarsi e migliorare il proprio percorso di vita segnato a volte da un’assenza di un futuro, anche fosse solo di un minimo di benessere ed a nessuno dovrebbe essere impedito di spostarsi per vivere dignitosamente: forse proprio chi ha perso, anche se temporaneamente, un bene cosi prezioso come la libertà, può entrare in sintonia con queste storie di sofferenza nella ricerca di un’emancipazione.

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SOS Méditerranée a Saint-Louis e Mulhouse (Alsazia)

Il 5 e il 6 novembre, a Saint-Louis si è svolta una sessione di testimonianza e di formazione sul tema delle migrazioni con oltre 300 studenti accompagnati dai loro professori nella sala convegni/teatro Comunale della cittadina alsaziana. Assieme agli studenti hanno partecipato anche i professori, rappresentanti del Comune e della società civile. Si sono viste insieme, attraverso uno schermo gigante immagini di varia natura ed intensità emotiva e su questo si è poi dibattuto sia su fatti ”tecnici” dei salvataggi in mare, sia sugli elementi di conoscenza più stereotipati che in tutti questi anni anno trasformato un fenomeno naturale e perenne come le migrazioni in una ”notizia” da prima pagina su cui costruire intere e lunghe campagne elettorali. Oltre all’intervento pubblico con la cittadinanza di Saint-Louis vi è stato poi l’incontro con un gruppo di detenuti nel carcere di Mulhouse, il più antico carcere di Francia datato 1870, quindi di costruzione germanica secondo uno stile architettonico che ricorda i vecchi film con scene dal carcere che raggelano lo spirito dello spettatore. Dalla turbolenta e a volte irrequieta platea dei giovani studenti del giorno prima si è passati all’attenzione partecipe ed emotiva dei carcerati, alcuni dei quali hanno osservato con gli occhi lucidi le immagini di salvataggi drammatici in cui forse hanno riconosciuto i racconti di qualche loro compagno di cella o di sventure comuni. In questo articolo apparso sulla stampa locale si può leggere un resoconto completo della reazione del pubblico dei giovani alsaziani.

In attesa che la ”bestia” riconquisti il potere…

Il 9 novembre 2019v si è replicata a Roma la grande protesta popolare contro il modello regressivo, razzista e xenofobo di questi ultimi governi. In questo LINK le interviste per Radio Onda d’Urto, direttamente dal corteo e altri materiali utili. La protesta è scesa in piazza come un anno fa su impulso di un variegato sistema di movimenti progressisti e antagonisti, sindacati di base, movimenti femministi, per il diritto all’abitare, movimenti di lavoratori migranti organizzati, tutti sotto la bandiera degli ”Indivisibili”: un nome, un progetto che rappresenta l’unità. Unità contro la chiusura nei recinti nazionali (”prima gli italiani”, ”porti chiusi”), nei recinti regionali (l’autonomia differenziata e la secessione dei ricchi) per finire in quelli municipali (”not in my garden”, no nel mio giardino…) e in quelli personali (la legittima difesa ”a prescindere”). La bestia è quel complesso meccanismo fatto di ”operatori” social, fiancheggiatori, influencer, semplici cittadini infervorati ed aizzati, organizzati da un software che cadendo nella rete delirante dell’odio xenofobo e razzista fanno il gioco, appunto, di quei professionisti che lavorano per il ”figurante” Salvini. Un serie di like che aumenta le visite sui social che a loro volta rendono più visibile la pagina Facebook dove si pubblicano gratuitamente commenti e post che a loro volta verranno analizzati e rimasticati sotto forma di slogan che immancabilmente il ”figurante” di cui sopra vomiterò addosso alla folla applaudente nei comizi reali o virtuali. La politica di questa sorta di politico ”on-demand” è il frutto di questa spirale perversa che parte dalla creazione ad arte di falsi problemi, paure create ad hoc ma che fanno leva su comprensibili paure ataviche tipiche dell’italiano medio, moderato, alle prese con le rate del mutuo per pagare la sua misera casetta comprata magari all’apice del boom speculativo edilizio del periodo pre-crisi. Ed è cosi che pur in presenza di un numero di reati in discesa compresi gli omicidi, si riesce ad innescare la paura del furto, della rapina ai danni dello sfortunato impiegato o piccolo commerciante che immancabilmente stava per sposarsi e svolgeva attività di volontariato in parrocchia, ovviamente a favore dei poveri, cittadini italiani, di pelle bianca e proprio per questo era amato da tutti. Il copione si presenta analogo in diverse situazioni ognuna delle quali grida vendetta. Ed è cosi che il ”legittimo turbamento psicologico” consente a quell’italiano medio, con le rate del mutuo che pesano sulla tua testa e su quella dei suoi figli, di difendere fino alle estreme conseguenze quel piccolo patrimonio che lo avevano illuso di essere un proprietario sebbene in co-proprietà con la banca: al buio, o in penombra, può quindi sparare e uccidere perché a prescindere da tutto, nessuno può violare il caposaldo della società liberale e liberista: la proprietà privata. Tutto ciò, però, senza sapere che non vi è un’emergenza omicidi o reati contro il patrimonio e senza sapere che ribadendo fino all’esasperazione la legittima difesa della proprietà sacra e inviolabile si può fare passare anche il decreto sicurezza e con esso gli sgomberi di edifici inutilizzati e fatiscenti che danno riparo ad italiani e stranieri in difficoltà. Nel momento in cui l’italiano medio così come lo straniero che insieme ad altre centinaia di migliaia di lavoratori di tutte le etnie, manda avanti l’economia italiana, si accorgerà che la protesta per difendere il proprio posto di lavoro dalle speculazioni finanziarie del faccendiere di turno o di un fondo azionario con sede alle Bermuda, potrà essere repressa proprio grazie la decreto sicurezza-bis del politico ”figurante” che lui stesso ha votato…sarà troppo tardi perché si ritroverà in carcere. Porti chiusi, manganello facile, prigione per chi sbaglia e relativa chiave nel tombino, sono i TAG di questa politica repressiva che propone il modello rassicurante ”Dio-Patria-Famiglia” e che tra qualche mese verrà sdoganata definitivamente dopo un primo rodaggio di circa 18 mesi. Contro tutto ciò il 9 si è scesi in piazza, italiani e fratelli di altre nazionalità e culture, insieme perché appartenenti alla stessa razza umana, perché l’unica razza che si conosce è un pesce!

In attesa del IV novembre giornata di lutto nazionale

Ogni anno, all’approssimarsi della ricorrenza del 4 novembre il dibattito culturale sui mass-media si polarizza tra: a) ”nostalgici” del buon vecchio patriottismo dei tempi che furono secondo i quali la guerra vittoriosa , la ”grande guerra”, andrebbe festeggiata e anzi rinfocolata e agganciata in un tutt’uno con la legittima voglia di unità patriottica lungo lo spartiacque alpino e oltre (Istria e Fiume) portato avanti dagli avanguardismi giovanili pre-fascisti; b) pacifisti che sottolineano gli effetti devastanti della ”inutile strage” che in cambio di pochi chilometri di confini in più ha lasciato sul terreno esanimi quasi 700mila soldati per non parlare dei mutilati, civili e militari e delle vittime civili. In Europa le vittime furono circa 40 milioni tra morti e feriti: fu il primo conflitto che sancì il cambio di rotta nello ”stile” e nelle strategie belliche ovvero non più solo eserciti uno contro l’altro ma popolazioni coinvolte a 360°, economie in conflitto tra loro che si annientano a vicenda anche nei loro sistemi produttivi. Ma la sintesi forse più vicina alla realtà è che fu una guerra imperialista tra potenze emergenti e potenze declinanti in cui il patriottismo fu la benzina per convincere contadini e proletari ad andare incontro alla mattanza operata dal nemico o dai carabinieri nelle retrovie contro gli unici sani di mente ma purtroppo definiti disertori; fu l’inizio della fine del predominio europeo sul mondo. Nel giro di 30-40 anni dalla fine della grande guerra gli imperi coloniali si sfaldarono nelle modalità fino ad allora conosciute e si ricomposero in nuova forma con l’ingresso delle corporation al fianco degli stati nazionali nel quadro di un’economia che iniziava a finanziarizzarsi ed a inglobare la politica al suo interno nel ruolo di ancella fedele. A fine 2018 in concomitanza con le commemorazioni delle Grande guerra, in un territorio come quello di Bracciano assediato da caserme militari, dove molti docenti sono legati da relazioni parentali con esponenti delle varie FFAA presenti nel territorio e dove il pensiero reazionario è maggioritario, si è voluto smontare un mito e inquadrarlo in un discorso complessivo sulla violenza nella società di oggi: si è sottolineato come questa si stia riavvicinando, come negli anni pre-guerra e poi negli anni ’20, verso polarizzazioni tendenziose di tipo culturale sia contro le conquiste di libertà degli ultimi decenni (parità uomo-donna, libertà sessuale, diritti dell’uomo e all’autodeterminazione, difesa delle diversità di pensiero e degli stili di vita, ecc. ecc.) secondo le indicazioni proposte dai vari ”Family day” e dai cartelli pubblicitari propagandistici che imperversano ogni qualvolta si toccano temi come il fine vita, l’interruzione di gravidanza, le scelte di genere, ecc.. Un autoritarismo dilagante nella società la sta permeando sotto le mentite spoglie del ”decoro” a partire da quello urbano e dietro la parola d’ordine della ”sicurezza” in un paese dove i reati sono in calo mentre cresce invece l’insicurezza, quella reale, verso il proprio futuro, il proprio lavoro, tanto da trascinare l’Italia verso il tasso demografico più basso della sua storia. In queste slide si smonta il mito del DIO-PATRIA-FAMIGLIA e della grande guerra e ci aggancia alle rinnovate forme di violenza contro l’anticonformismo ovunque si presenti e alle forme di psichiatrizzazione della ”non-conformità” a partire dalla scuola dove esplodono i casi di DSA e di disabilità spesso sovrastimate per la crescente presenza dei ”falsi positivi” alle diagnosi. CONVEGNO CESP BRACCIANO 2018

Drenare ricchezze per arricchire i (già) ricchi

Un problema attanaglia da sempre i padroni e in generale il capitalismo: come generare sempre più utili ? come rendere la mia azienda appetibile in borsa ? In QUESTO ARTICOLO DI CONTROPIANO.ORG VENGONO SPIEGATI I SISTEMI PER CALCOLARE E INDIVIDUARE QUESTA ENORME ELUSIONE FISCALE e che ritrovate raffigurati nell’immagine qui sopra: i paradisi fiscali sono tra noi! e lo si vede nel rapporto tra i ricavi delle imprese registrate in quel paese sulla spesa per stipendi…sui quali non si può barare perché corrispondono a perone-lavoratori in carne ed ossa. Su un altro piano, però, da sempre, la risposta è stata quella di automatizzare, ridurre i salari (o licenziare), ridurre i costi (ad esempio i costi di manutenzione) pagare meno tasse ovvero evitare che il profitto accumulato da pochi possa contribuire al benessere di molti. Con questa logica si privatizza il privatizzabile in modo che quei ”pochi” possano in modo efficiente guadagnare sempre di più anche accaparrandosi servizi collettivi come i trasporti, l’acqua, l’energia, ecc. ecc. I governi, invece di tutelare il benessere del 90% della popolazione fa in modo che questa abbia il minimo indispensabile a seconda del modello culturale locale e il sistema di welfare raggiunto per poter vivere dignitosamente anche se con fatica, tutela molto di più il restante 10% che rappresentano i loro principali azionisti di riferimento… e così fanno loro dei favori come consentirgli di non pagare un monte-tasse pari ad una manovra finanziaria di un intero paese, scatenano guerre ”giustizialiste” come le manette agli evasori, anche piccoli, sviano l’attenzione della ”moltitudine” verso falsi problemi o falsi nemici proponendo loro metodi per soddisfare la sete di vendetta e rivalsa come appunto l’aumento delle pene carcerarie e pecuniarie. Nell’economia finanziarizzata, l’immaterialità del prodotto-servizio consente di moltiplicare a dismisura questa possibilità di elusione fiscale, evitando ad esempio che un ricavo vada a finire nella base imponibile come ad esempio un brevetto, ricerca e sviluppo, ecc. ecc. In ballo sono miliardi di euro sottratti alla collettività la quale deve fare i conti tagli ai servizi e agli investimenti che va avanti e si incrementa crisi dopo crisi: l’ultima, quella del, 2008 oltre a non aver insegnato nulla al sistema politico in termini di giustizia sociale, perdura appunto da oltre 10 anni tanto da fare sospettare che non sia un effetto collaterale del capitalismo ma la sua stessa essenza.

La fine della democrazia

Ovvero, non bastava diminuire lo ”stipendio” dei parlamentari (oltre ai vitalizi) piuttosto che il loro numero?

Semmai ce ne fosse stata una, effettivamente e compiutamente tale, dopo i colpi dati a ciò che ne rimane, dopo la caduta (ahimè parziale) del regime fascista, in questi ultimi mesi potremmo considerarla ormai clinicamente morta. Ciò che tiene in vita la cosiddetta democrazia parlamentare attuale sono i proclami nelle cerimonie pubbliche, le dichiarazioni di intenti, i roboanti discorsi in occasione di commemorazioni-chiave come il XX settembre, il 25 aprile o per la fine della Grande Guerra che qualche nostalgico ha recentemente avuto il coraggio di ribattezzare la ”Grande Guerra vittoriosa” e della quale dovremmo solo vergognarci non solo per sensibilità verso i ”nostri” milioni di caduti ma anche per quelli causati ad altre nazioni. La decretazione d’urgenza in momenti storici in cui essa NON occorre è un abuso istituzionale di cui si sono macchiati (e tutt’ora contraddistinguono) i nostri governi con un’impennata negli ultimi anni a dir poco preoccupante: essa è uno dei motivi che spiegano il titolo di questo articolo ma da pochi giorni si è aggiunto un altro colpo mortale giunto appunto dalla riduzione del numero dei parlamentari nel quadro di una riforma istituzionale e di ridefinizione dei collegi elettorali e del sistema di rappresentatività … che incoscientemente non si è fatta! Da una parte abbiamo le spese militari inutili come i 64 F16, aeroplanini da circa 100milioni di euro l’uno, assolutamente inutili oltre che fonte di ulteriori spese di manutenzione ed ormai obsoleti e dall’altra l’esu(-a)ltazione per un taglio dei parlamentari annunciato come una vittoria nella lotta agli sprechi nella spesa pubblica: ma non sarebbe bastato ridurre gli stipendi senza mettere ulteriormente a rischio le fondamenta della democrazia rappresentativa ? Si continua lungo il mito del ”dipendente” pubblico fannullone che esce a fare la spesa in orario di servizio o dei ministeri sovrabbondanti di raccomandati: senza escludere che possano esservi sacche di estrema inefficienza, il clima giustizialista e repressivo-autoritario, attuato in modo bi-partisan da Brunetta a Renzi, fa perdere di vista le priorità, i capisaldi della democrazia e soprattutto il vero ”nemico”. Siamo nell’era dei capri espiatori, delle fake-news, delle semplificazioni ispirate agli slogan delle tifoserie calcistiche: del resto il maestro assoluto fu proprio Berlusconi che avviò tale metafora in modo autorevole proprio in quanto proprietario di una squadra di calcio e fondatore di un partito che nel nome rappresentava bene questo delirio collettivo per tossicodipendenti da football. Da una parte le piattaforme informatiche che con qualche migliaio di voti vorrebbe sostituirsi al sistema parlamentare, dall’altra una delegittimazione partita da lontano oltre 20 anni fa a seguito di ”mani pulite” e il successivo periodo berlusconiano e delle TV del ”DriveIN” , dall’altra i populismi di varia natura, dal leghismo federalista al leghismo nazional-fascista di stampo salviniano, per finire con i populismi ”radical chic” dei vari rottamatori democristiani in stile renziano, anch’essi asserviti al diktat della governabilità, tanto cara a finanzieri, imprenditori e ai famigerati ”investitori” esteri. Ospitiamo qui di seguito un articolo di commento di Walter Tucci del direttivo nazionale del Partito Comunista Italiano con una critica acerrima a questa legge votata anche dagli ex-comunisti del PD:

RIDURRE IL PARLAMENTO AD UNA ISTITUZIONE INUTILE

Pochi giorni fa si è consumato l’ennesimo colpo alla nostra Democrazia rappresentativa, con la corposa riduzione del numero dei parlamentari, senza modifiche all’attuale sistema elettorale e rinviando a data da destinare i necessari contrappesi che garantiscano la rappresentanza di tutte le opinioni e le formazioni politiche.
Ne è derivato non solo un provvedimento palesemente incostituzionale, ma anche un grave errore strategico, che aumenterà il distacco dei cittadini dalla politica, la mancanza di partecipazione popolare e l’astensionismo.
La schiacciante maggioranza (553 a favore e 14 contrari), ha immolato sull’altare della demagogia e del populismo l’ennesimo “mattone” dell’edificio della democrazia parlamentare rappresentativa, costruito, in tanti anni di sacrifici e sofferenze, dalla lotta di Liberazione in poi.
Si è portata, con ciò all’incasso, la cambiale che il PD ha dovuto pagare, nonostante la conclamata contrarietà, all’alleanza di Governo con i 5 Stelle, in cambio di una vaga promessa di ulteriori modifiche della legge elettorale e dei Regolamenti parlamentari.
Nel frattempo, il taglio dei parlamentari, stante questa legge elettorale – in cui gli stessi sono nominati dai capi partito (che solo ad essi rispondono per essere rieletti), in cui si votano liste bloccate, in cui si deve superare lo sbarramento del 5% – si traduce in un premio alle forze politiche maggiori, per tenere fuori dal Parlamento quelle minori, sgradite all’establishment ed alle quali si nega perfino il “diritto di tribuna”, in un sistema oligarchico nel quale è vietato disturbare il “manovratore”.
E’ in atto già da troppo tempo la “compressione” del dibattito parlamentare e della stessa funzione del Parlamento, con il trasferimento di fatto dell’iniziativa legislativa all’Esecutivo, mentre la Costituzione attribuisce al Parlamento un ruolo centrale negli assetti istituzionali: fare le leggi che guidino l’azione di Governo e delimitino gli ambiti di azione della Magistratura, secondo il principio democratico fondamentale della divisione dei poteri.
Al contrario, si è data sempre più centralità all’azione di Governo, affievolendo la funzione parlamentare, anche con leggi elettorali che hanno spostato il “potere di nomina” dagli elettori alle Segreterie dei partiti, a scapito della libertà di decisione e di coscienza dell’eletto.
Questa legge è un ulteriore passo verso la delegittimazione del Parlamento, che potrebbe essere completata dall’introduzione del vincolo di mandato, dalla negazione, cioè, dell’autonomia di giudizio del singolo parlamentare, costituzionalmente garantita dall’art.67; dal tentativo di sottrarre alla funzione regolatrice dello Stato decine di materie fondamentali per l’uguaglianza dei diritti e la coesione del Paese (discriminando tra i cittadini secondo dove vivono) e con una procedura che ha escluso il Parlamento da ogni decisione; dalla richiesta di introdurre il Referendum propositivo, che potrebbe essere utilizzato da lobby e potentati come strumento di pressione sul Parlamento, mentre viene spacciato come strumento di democrazia diretta.
A tal riguardo, diciamo forte e chiaro, anche rischiando l’impopolarità, che noi comunisti riteniamo fondamentale, per un governo democratico della Repubblica, la democrazia parlamentare rappresentativa e che l’85% dei deputati si è assunta la responsabilità storica di rendere il Parlamento meno rappresentativo del Paese e ancora più subalterno al Governo, votando l’eliminazione di un terzo del Parlamento, cioè della democrazia rappresentativa!
Dobbiamo avere il coraggio di dire che si è trattato di un voto (quasi unanime) di un Parlamento ormai incapace di ribellarsi alle smanie populiste, cui nessuno osa più opporsi e di rifiutare, in un sussulto di dignità, la cultura della casta e dell’antipolitica. Individuare, infatti, nel numero dei parlamentari la causa del malfunzionamento di un’Istituzione fondamentale per la Democrazia, vuol dire indulgere, ancora una volta, allo spirito demagogico imperante di chi ritiene di poter risparmiare sul funzionamento della Democrazia.
Se questo è il criterio, qualcuno potrebbe, prima o poi, suggerire un risparmio ancora maggiore abolendo tout court l’intero Parlamento e decretarne la totale inutilità, per sostituirlo con la piattaforma Rousseau o simili!
L’efficienza del Parlamento, è risaputo, dipende essenzialmente dai Regolamenti di funzionamento delle Camere, dall’autonomia dei parlamentari, dalla loro competenza, dalla legge elettorale e, in parte, solo in parte, dal bicameralismo paritario.
Ora che l’errore è fatto, (a meno di sorprese, se si farà il Referendum) il vigente “rosatellum” diventa, come detto, la mannaia per le formazioni politiche minori già esistenti o nuove, che concentrerà ancora di più nelle mani di pochissime forze la rappresentanza politica.
Si è detto che presto si costruiranno le garanzie di rappresentanza democratica, per assicurare il pluralismo politico e territoriale, con la modifica della legge elettorale.
Ma allora non era più logico modificarla prima del taglio dei parlamentari, che aumenterà l’ampiezza dei collegi e la proporzione tra eletti ed elettori, lascerà intere aree del Paese senza rappresentanza parlamentare ed entrerà in vigore solo nel 2023?
La verità e che non ci sarà nessuna garanzia di rappresentanza democratica, tramite una nuova legge elettorale, perché la maggioranza già pensa a un nuovo sistema maggioritario o a un proporzionale con sbarramento molto alto (il 6, il 7%?), per obbligare le formazioni più piccole, anche se politicamente e culturalmente significative, ad entrare nei partiti maggiori.
Del resto, neanche la c.d. sinistra è convinta di superare la parte di maggioritario esistente, anche se il tanto desiderato bipolarismo è stato sconfitto fin dal 2013, con il ritorno al multipolarismo, che ha rotto le catene imposte ad una società pluralista da meri artifici elettorali. Spingere ancora su sistemi elettorali che investano direttamente un Premier e un Governo, potrebbe portare, nell’attuale fase politica, al presidenzialismo, già invocato a gran voce dalle destre e non solo.
Le varie leggi elettorali d’impostazione maggioritaria hanno infatti, nel tempo, sempre più limitato la presenza delle forze politiche minori nelle Assemblee parlamentari e territoriali, falsando la proporzionalità della rappresentanza, attraverso meccanismi premiali, che regalano ad una minoranza più seggi dei voti ricevuti, distorcendo l’effettiva volontà del corpo elettorale e scavando un fossato nel rapporto tra elettori ed eletti.
Contro questa pericolosa negazione della partecipazione democratica, il PCI ha da tempo avanzato la proposta (in sintonia con il pensiero di diversi Giuristi, come Rodotà e Ferrara) di mantenere una sola Camera con funzione legislativa; una sorta di monocameralismo che dia piena capacità di rappresentanza ad una sola Assemblea, diversificando le funzioni di Camera e Senato, magari con una seconda Camera, che rappresenti le Regioni e superi le pericolose pulsioni separatiste e le richieste di autonomia differenziata. Ma a patto che la rappresentanza elettorale si basi su un sistema proporzionale puro, cioè senza sbarramenti innaturali, che impediscono di fatto la rappresentanza a milioni di elettori di liste minoritarie, i cui voti vanno perduti.
Per riparare, pertanto, a questo gravissimo errore politico, nato dall’esigenza di soddisfare la “pancia” dell’elettorato populista, deluso da tante promesse demagogiche non mantenute, riproponiamo, dunque, l’unico sistema in grado di ripristinare il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti parlamentari; di non distorcerne la volontà; di non privilegiare la governabilità a scapito della rappresentatività; di ripristinare l’eguaglianza nell’esercizio del diritto di voto (una testa un voto) e la funzione costituzionale dei partiti (art. 49) di “rappresentanza organizzata della volontà popolare”.
In una parola, chiediamo un sistema elettorale in grado di ridare equilibrio al rapporto tra forma di governo e rappresentanza politica, ristabilendo la centralità del Parlamento e della sua indispensabile funzione legislativa.

Roma 18 ottobre 2019

                        Walter Tucci 
    (Responsabile nazionale PCI - Dipartimento Costituzione, Democrazia, Istituzioni) 

I migranti non sanno nuotare…e tu?

Questo il titolo per una serie di interventi presso ”Biblioteche di Roma” svoltisi a Roma tra giugno e ottobre 2019 per coinvolgere i partecipanti agli incontri lungo un percorso verso l’empatia nei confronti dei migranti partendo da quella verso ”l’altro da sé” ma anche verso le nostre stesse radici : noi italiani, per effetto di chiusure e paure create strumentalmente a scopo elettorale, stiamo perdendo la memoria sul nostro essere stati migranti. Abbiamo ”colonizzato”, in passato con gli eserciti, poi con la sola forza lavoro, la nostra creatività e cultura, interi paesi come l’Argentina verso i quali chi scrive, come milioni di altri concittadini, ha visto partire i propri parenti in fuga da un’Italia in ginocchio per i postumi di un conflitto mondiale devastante. Chi scrive ascolta sempre con attenzione i racconti di prevaricazione, soprusi e cattiverie subite dai propri genitori e zii, emigrati ”clandestinamente” ovvero prima con permesso di turismo e solo dopo come operai – in Svizzera: questo racconto coincide con quelli di tanti altri italiani umiliati e sfruttati proprio come raccontò Nino Manfredi in ”Pane e cioccolata”. E’ così che dopo aver constatato in prima persona la sofferenza del migrante a bordo dell’Aquarius, la nave per i soccorsi in mare di SOS MEDITERRANEE, i ricordi si ricollegano spontaneamente tra loro e quelle persone salvate mi sono apparse immediatamente più vicine, appunto ”persone” non più numeri, statistiche o semplicemente ”migranti”: non più poveri disperati ma persone con le proprie storie, a volte banali a volte straordinarie ma tutte con l’elemento in comune di una detenzione disumana in Libia, un viaggio tramutato in calvario e altre sofferenze indicibili. Ogni loro storia è a sé stante, ogni motivazione a lasciare la propria terra è diversa dall’altra ma tutte nascono da un disagio tale da far mettere loro la propria vita sul piatto di una bilancia dove sull’atro c’è disperazione, assenza di futuro, prevaricazione o peggio fame e guerre. Alle volte, però, c’è ”solo” il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita ma l’impossibilità di farlo per il blocco del rilascio dei visti. D’altra parte, quest’ultima motivazione, accomuna quei 150ila italiani che solo nel 2017 si sono iscritti all’AIRE e non tutti con un contratto di lavoro in mano ma tutti sicuramente con la pelle bianca e un passaporto dell’Unione Europea. La sfida sta allora nel rispolverare queste storie da un passato tipicamente italiano di cui abbiamo ancora dei testimoni viventi in ogni famiglia o anche i racconti più recenti di un famigliare appena trasferitosi all’estero ; ma la sfida sta anche nell’avvicinarsi, con curiosità intellettuale alle altre culture con lo stesso spirito con cui, col tempo, abbiamo imparato a stringere amicizia con il gestore del negozietto sotto casa di origine pakistana, o cinese e con i quali ormai ci diamo del ”tu” perché non ci sembrano più tanto distanti da noi, soprattutto quando ci capita di sentire parlare uno dei loro figli con la nostra stessa cadenza dialettale e stupefatti di ciò, ci rendiamo conto, subito dopo, di quanto siamo ingenui, ignoranti o semplicemente stupidi nel provare appunto quel tipo di stupore!

A chi serve la ”precarietà” nel mondo della scuola?

Insegnanti precari = futuri cittadini precari ? forse! ma ad ogni modo c’è una teoria che associa il modello neo-liberista capitalistico attuale, fatto di salari al massimo ribasso, delocalizzazioni, sfruttamento delle risorse nei paesi in via di sviluppo (economico) e quindi di precarizzazione – che alcuni chiamano eufemisticamente ”flessibilità” – ad un sistema formativo con alti tassi di precarietà E BASSI SALARI. Nei paesi dove questa precarietà è quasi del tutto assente, ad esempio in Francia, dove i salari degli insegnanti sono mediamente più alti di un 20/30%, il modello culturale e i punti di riferimento valoriali spacciati come i migliori tra quelli possibili è comparabile se non identico: cosa abbiamo in più (in termini negativi, ovviamente) rispetto agli altri paesi ? la precarietà che in un paese che sprofonda verso un destino economico fatto in larga maggioranza di ”food”, ”wellness”, a volte intrecciati insieme nel maxi-contenitore del turismo vacanziero, il contratto a termine, stagionale e la precarietà sono molto funzionali. Cosa c’è di meglio, quindi, di un docente geneticamente modificato a creare uno studente con le ”giuste” competenze, ovviamente spendibili il più presto possibile nel mercato del lavoro dove lui stesso personifica lo stato di precarietà più o meno accettata arrendevolmente ? il mercato del lavoro competitivo e globalizzato richiede soprattutto COMPETENZE cioè saperi mai fine a sé stessi ma spendibili come una merce qualsiasi sul mercato. Là fuori c’è un mondo brutale, competitivo, dove quello che conta è il profitto, dove conta non chi sei, come persona, eventualmente con un potenziale creativo e con una propria personalità capace di proporre e cambiare in meglio il mondo esistente ma quanto riesci a produrre nell’unità di tempo (produttività): la risorsa umana è una variabile che rappresenta un costo più che una risorsa soprattutto quando la finanza ha mangiato l’economia. Imprenditore e finanziere sono le due facce della stessa medaglia che stritolano il lavoratore al fine di accumulare profitti condannati ad essere sempre crescenti anche i momenti di sovra-produzione e stagnazione come il periodo attuale. Per questo chi ormai ha accettato la passività per modello per il quieto vivere, accetta la figura del preside-padrone e la competizione all’ultimo progetto o tutorato per l’alternanza scuola-lavoro in modo da arrotondare un magro stipendio, rappresenta il formatore, o meglio l’addestratore, ideale per le future generazioni! La scuola in qualche modo rispecchia nella sua cultura organizzativa i modelli culturali del mondo esterno, un po’ come le fabbriche e gli ambienti di lavoro; i modelli culturali da riprodurre sono quelli imposti dalla classe dominante la quale influenza parallelamente anche la propria ancella fidata, la politica. Quindi se la scuola si concentra a preparare futuri lavoratori precari, competitivi, accondiscendenti verso il potere costituito e le gerarchie qualunque esse siano, non particolarmente creativi e per nulla ribelli, più che a preparare cittadini culturalmente ricchi e consapevoli cioè potenzialmente capaci di cambiare il sistema, poco importa, anzi meglio! La scuola non è più motore di mobilità sociale ascendente ma anzi accelera quella discendente ? meglio! secondo le teorie della cosiddetta curva di Gatsby, una cattiva redistribuzione delle ricchezze è collegata ad una mobilità sociale discendente e la scuola ne è uno dei motori che non solo ”congela” la mobilità ma ne favorisce il movimento al ribasso. Con la buona scuola di Matteo Renzie si è dato un colpo mortale a questo ruolo ”storico” della scuola che a partire dal ’68 non è appunto solo quello di omogeneizzare una popolazione sotto una stessa lingua e capace di ”far di conto”. Questa curva studiata dai sociologi dell’educazione ed economisti nasce proprio negli USA cioè nella patria del mito del self-made-man smentito peraltro da recenti fatti di cronaca e da alcuni film e docufiction che ci raccontano della spietatezza e della scorrettezza ai limiti della cattiveria, di personaggi da molti ammirati per quel falso mito made in USA come Bill Gates, Mark Zuckerberg o il fondatore di McDonald’s (VD. il recente film ”The founder”, con M. Keaton). A partire da film quali ”Wall Street” con M.Douglas o ”Il diavolo veste Prada” il mito USA fu già ampiamente messo alla prova come lo fu negli anni ’40 col film ”Quarto potere” ma ora le ricerche sul campo ci dimostrano che quel modello non ha più gli anticorpi per mitigarne la crudeltà come si pensava in un recente passato. Con tutto ciò questo modello viene ancora imposto come il migliore tra quelli possibili anche a costo di vivere prossimamente in una pentola a pressione! La passiva accettazione dei miti made in USA in un paese che in Europa ha il più alto numero di basi militari statunitensi sembra un destino ineluttabile soprattutto considerando l’opera capillare di un Tycoon come Berlusconi che ci inondò di TV spazzatura negli anni ’80 rovinando un’intera generazione e intaccandone profondamente altre, tra cui la mia!

DAL SERVIZIO SU RADIO ONDA D’URTO

Intanto allarme dell’Ocse per la scuola italiana dei prossimi 10 anni: un milione di studenti in meno, tra calo demografico e dispersione scolastica, e meta’ degli attuali docenti in pensione; inoltre, il 26% dei giovani italiani e’ ‘neet’, cioe’ non studia e non lavora, contro il 14% della media Ue. Il Rapporto evidenzia che l’Italia ha la quota maggiore di docenti ultra 50enni (59%) e la quota piu’ bassa di insegnanti di eta’ tra i 25 e i 34 anni nei Paesi dell’Ocse.

Anche gli stipendi sono sotto la media europea. Inoltre secondo l’Ocse l’Italia investe nell’istruzione pubblica il 3,6% del PIL, l’1,4% in meno rispetto alla media Ocse (circa il 5%); uno dei livelli più bassi tra i 36 componenti dell’Organizzazione. Concorde con l’Ocse il neoministro Fioramonti, dei M5S, che chiede “2 miliardi di euro per la scuola, e un miliardo di euro per la ricerca, altrimenti mi dimetterò”. L’intervista al sociologo e insegnante Stefano Bertoldi, che su Radio Onda d’Urto realizza la trasmissione settimanale “Scuola Resistente”, oltre che collaboratore del Cesp, il Centro Studi del sindacato di base Cobas Scuola Ascolta o scaricaV

La scuola francese tra neo-liberismo e progetti di inclusione sociale

L’escursione Agropoli-Acciaroli su due imbarcazioni della Veladream, un Bavaria50 e un Janneau Sun Odissey449

Nelle giornate tra il 19 e il 21 maggio scorso abbiamo avuto l’opportunità di conoscere un po’ più da vicino uno spaccato della realtà scolastica francese ed in particolare quella del comune di Saint-Louis, 20mila abitanti nell’alta valle del Reno, operante in un territorio ad alta densità operaia, in un crocevia di confini che vede Germania, Svizzera e Francia entrambi a poche centinaia di metri l’una dall’altra. Veladream di Agropoli, società di charter nautico e scuola vela nel cuore del Cilento, già impegnata da anni in progetti con le scuole del territorio questa volta si è aperta una strada anche a collaborazioni con sistemi scolastici di altri paesi che come vedremo sono parecchio più avanti di noi in termini di inclusione sociale più che altro perché giocano d’anticipo secondo il principio che prevenire è meglio (e meno costoso) rispetto a curare. Due classi con i relativi accompagnatori, due professori, due educatori e un supervisore degli studenti, hanno partecipato ad un progetto per l’inclusione e contro la dispersione scolastica che le ha viste protagoniste di una navigazione di due giorni in barca a vela nel Cilento, tra Agropoli e Acciaroli. La vela, come ”laboratorio” sociale, ha messo in moto dinamiche relazionali tra ragazzi e tra ragazzi e adulti sulle quali si è potuto riflettere durante la navigazione e sulle quali si rifletterà a lungo anche nei giorni successivi, analizzando tutto ciò che è avvenuto durante la navigazione ma anche nella vita quotidiana in un ambiente ”instabile” per definizione. L’uscita dall’area di ”comfort” proprio per agevolare una più libera espressione di tali dinamiche, era l’obiettivo implicito del progetto. Il gruppo dei ragazzi ha rappresentato uno spaccato dell’istituto scolastico di provenienza dove tra le maggiori criticità vi sono la convivenza di 34 etnie differenti ed una forte assenza, o anche solo carenza, della presenza in ambito famigliare delle figure genitoriali, impegnate spesso entrambe in un lavoro transfrontaliero fagocitante. A queste problematiche si sommano quelle tipiche di una realtà industriale e post-industriale in evoluzione con sacche di lavoro precario, differenze salariali notevoli tra lavoratori francesi e francesi ”transfrontalieri”. I processi di trasformazione post-industriale, infatti, hanno portato anche a Saint-Louis ad un aumento della disoccupazione e ad un intensificazione degli spostamenti della manodopera che si sono tradotti in un pendolarismo sempre più accentuato con i due ricchi paesi confinanti. Ciò ha portato ad un tasso di disoccupazione, relativamente basso ma pur sempre in costante crescita dall’inizio della crisi in cui era al 5% all’attuale 7,7% pur in presenza di un tasso di attività che supera ampiamente l’80% della popolazione in età lavorativa dovuta anche ad una demografia favorevole che vede la presenza di pensionati notevolmente minoritaria rispetto al resto della Francia (13,7% contro oltre il 18%). Il tasso di ”pendolarismo” coinvolge quasi il 60% della popolazione attratta dagli alti stipendi della vicinissima Germania o dell’altrettanto vicina Svizzera dove ha sede a pochi chilometri, , solo per fare un esempio la multinazionale del farmaco, Novartis. Quindi sebbene la situazione economica e lavorativa sia notevolmente più densa di opportunità, rispetto ad un qualsiasi comune dell’Italia, eccezion fatta per alcune realtà del nord nel triangolo industriale o nel triveneto, le ripercussioni sul piano sociale sono sempre tenute sotto controllo da un sistema nazionale di sostegno dell’inclusione che in collaborazione con le autorità locali della regione Alsazia effettua degli interventi costanti nei quartieri e nelle scuole di inclusione sociale e di contrasto all’abbandono scolastico. Questi interventi si avvalgono di un’organizzazione, pianificata a livello centrale, che si basa sulla REP (Rete di educazione prioritaria) fondata su quattro parametri correlati alla ”riuscita scolastica” tra i quali ne figura uno, ZUS (zone urbane sensibili) che tiene d’occhio a sua volta alcune variabili ”a rischio” caratteristiche di uno specifico territorio, di cui fa parte appunto anche Saint-Louis. Come si evince anche dalle interviste, gli interventi di inclusione operati dal piano nazionale e attuanti dalle autorità locali tengono conto appunto della variabile territoriale socio-economica in base alla quale la Francia si sta polarizzando tra aree di serie A e di serie B, quartieri-ghetto o dormitorio con alta presenza di altre etnie frutto di immigrazione di seconda o terza generazione : il ricordo delle rivolte delle ”banlieue” del 2005 è dietro l’angolo e il tentativo è quindi quello di evitare il ripetersi di fenomeni di guerriglia urbana contro le quali tuttavia, l’apparato repressivo, è sempre più pronto ed aggressivamente attrezzato. Le altre variabili prese in considerazione sono, il tasso di presenza di categorie socio-professionali svantaggiate, tasso di studenti che usufruiscono di borse di studio, numero di ”bocciature”. I primi tre criteri sono legati quindi al livello di reddito famigliare e sulla base di questi le scuole rientranti nella rete REP usufruiscono di un migliore rapporto numero studenti-numero professori, sostegno specifico prima che le problematiche del singolo studente risultino conclamate, interventi progettuali finanziati sia per l’orientamento lavorativo e l’interdisciplinarità sia per l’alloggio di ”prossimità”. Nelle REP inoltre vengono elargiti degli incentivi salariali ai professori per fidelizzarli maggiormente al territorio ed agevolare il lavoro in squadra anche con l’ausilio di una figura che in Italia potrebbe assomigliare all’insegnante di potenziamento ma che a differenza di questo non rappresenta una figura ”tappa-buchi” o un pro-forma svuotato, paradossalmente, di ”potere” : questa figura si occupa del benessere organizzativo dal punto di vista degli studenti, della loro sicurezza, ovviamente non in termini polizieschi ma sul piano del clima collaborativo. In aggiunta alle quasi 1100 REP si aggiungono quelle definitive REP+ ovvero quelle dove i parametri sopra descritti sono ancora più negativi e necessitano quindi di un intervento suppletivo. In cosa consiste questo intervento ? Nell’esatto opposto di quello che avviene in Italia con le classi pollaio e parallelamente con la promozione facile a tutela dei posti di lavoro : minore carico di lavoro in termini di monte ore settimanale per poter svolgere il proprio lavoro anche in piccoli sottogruppi di studenti, nel quadro di un orario scolastico che arriva, comunque a livello nazionale, fino alle 16:30, un orario che storicamente lascia liberi i ragazzi francesi dai compiti ”a casa” per concentrarsi nel divertimento o lo sport.

Nulla quindi, nella terminologia, che ricordi i concetti di ”merito”, competizione o eccellenza, tanto di moda qui da noi in Italia, senza contare che gli stipendi sono mediamente circa il 20/30% più alti e che il criterio di ingresso nella carriera docente è pressoché invariato da anni, non esistono classifiche di docenti una contro l’altra armate e i concorsi vengono banditi ogni anno.

L’escursione agli scavi di Paestum è stata un’occasione per mettere alla prova i ragazzi in un contesto culturale ”impegnativo” ma il confronto tra la realtà di un tempo con quella di oggi ha reso per loro interessante anche una visita potenzialmente ”noiosa”: in ogni caso è stata apprezzata l’occasione culturale proprio per uscire dal solito contesto urbano, ghettizzante o monopolizzato dai cellulari visionati spesso in solitudine

A proposito di quelle 50 persone (migranti salvati)

A parte il lager libico recentemente bombardato, uno dei tanti che UNHCR, Medici senza Frontiere, ed altre organizzazioni hanno testimoniato essere luoghi indegni e a parte i lager ”non ufficiali”, in Libia è dal 2011 che la situazione è esplosiva e fuori controllo. Come la Turchia del dittatore Erdogan che in cambio di qualche miliardo di dollari fa il cane da guardia alla frontiera medio-orientale e balcanica così il suo collega Gheddafi ha fatto in silenzio sul versante sub-sahariano dietro non poche minacce di apertura dei ”flussi”. Con 2 fazioni/milizie in campo i costi oggi sono lievitati e non sono bastati i ”regali” del governo Gentiloni oltre alle motovedette di seconda mano date agli ex-trafficanti di uomini oggi in divisa pulita della guardia costiera. Sono dunque quasi 10 anni che la situazione è palesemente di insicurezza, di sfruttamento e morte per le persone che varcano il confine libico. Queste persone, varcano il confine a prescindere dalla presenza in mare di ONG (il c.d. pull factor) e ben sapendo di rischiare la vita come testimoniato dai naufragi documentati dalle poche ONG che tra mille divieti e ”bastoni tra i timoni” ogni tanto, quando possono, documentano questo inferno che si svolge nella quasi totale indifferenza dell’UE. Siamo in un periodo storico in cui si è montato ad arte un nuovo nemico: non è un paese, a parte quelli classificati come ”canaglie” perché accusati di volersi costruire (anche loro !) una bomba atomica ma un insieme di PERSONE classificate tout court come MIGRANTI, numeri, statistiche, aggregati senza storia e senza storie. Anni di colonialismo e neo-colonialismo, di vendita di armi, di destabilizzazioni programmate e divisioni inter-etniche studiate a tavolino sia sul piano strategico militare che a livello mass-mediatico come avvenne in Ruanda negli anni ’90, attenuate e ”tamponate” dagli aiuti allo sviluppo e dai progetti umanitari, evidentemente non hanno insegnato nulla se ancora qualcuno, in modo creativo ed originale propone la soluzione del secolo: AIUTIAMOLI A CASA LORO! Certamente è possibile ma andrebbero messi intorno ad un tavolo i veri ”players”. Tutto ruota intorno ad un tavolo fatto di pochi giocatori con a disposizione una montagna di ”fiches” da gioco finanziario con le quali decidono le sorti della Grecia o dell’Italia, l’instabilità di un paese da sanare poi con la vendita di armi a questa o a quell’altra fazione. Oppure decidono il volto di una città, comprando e restaurando interi quartieri da destinare al turismo e costruendo nelle periferie i dormitori per le persone espulse dall’aumento dei prezzi e da “non-politiche” abitative. Con tutto ciò non ci si scaglia contro costoro che investendo in un’azienda se questa produce scarpe o computer poco importa o se poi viene chiusa perché delocalizzata laddove rende di più. Si produce precarietà lavorativa si depotenziano e si cooptano i sindacati polverizzando l’aggregazione dei lavoratori, si precarizza il lavoro dipendente sul piano dell’insicurezza psicologica di un contratto che nei primi tre anni può essere sciolto senza problemi. Questo lo può fare un’imprenditoria con approccio finanziario e un’economia finanziarizzata che controlla la politica: anzi spesso sono i politici stessi ad essere in prima persona finanzieri o imprenditori. Non vengono tassate le rendite e non ci si preoccupa di riconvertire le industrie belliche ma anzi si monta ad arte un altro problema inesistente come quello della criminalità e degli omicidi per ampliare le opportunità per l’autodifesa armata e vendere più armi come avviene negli USA da anni. La precarietà contrattuale e psicologica produce perdita di prospettive degne di vita e calo demografico oltre che emigrazione: dal 2014 ad oggi oltre 600mile persone mancano all’appello in termini di mancate nascite ed esodi. Un sistema imprenditoriale e finanziario contro il quale nessun politico osa veramente scagliarsi è all’origine di questi squilibri planetari con ripercussione anche sul piano ecologico. Le risposte sono rassicuranti e gli slogan accattivanti e il politico di turno, chi in maniera ”elegante” e silenziosa chi in modo roboante e ruspante si presenta come il difensore della vita o della famiglia, della proprietà privata sacra e inviolabile, del lavoro, dei sani principi, della tradizione, ecc. ecc. Ci si scaglia, quindi, contro chi salva la persona che tenta di sfuggire alla situazione sopra descritta e contro chi tenta di non farle annegare. Perché? perché è più semplice ”sparare sulla croce rossa” ed è più semplice mettere i poveri uno contro l’altro: oggi basta una fake-news per creare il mostro e il nemico, con conseguenze drammatiche come già si sperimentò in Ruanda i cui genocidi (circa 1 milione di morti ammazzati)sono da attribuirsi alla divisione inter-etnica tra Hutu e Tutsi creata ad arte dai belgi prima e perfezionata dai francesi dopo e scatenati successivamente da una falsa notizia mandata in onda su una radio privata .

Guerre, devastazioni, neo-colonialismo e depauperamento generalizzato da parte delle multinazionali provocano migrazioni tra un paese e l’altro che coinvolgono circa 70 milioni di persone in gran parte ammassate lungo i confini dei paesi accanto con l’idea di ritornare nel più breve tempo possibile. In Libano sono circa 1 milione tra palestinesi e gli ultimi arrivi dalla Siria, come se in Italia ci fossero 10 milioni di profughi: questa, eventualmente, sarebbe un’invasione ma i libanesi, pur provati e con mille difficoltà non fa quello che il governo italiano fa vergognosamente e in mala fede per 50 (cinquanta) persone soccorse. Una minima percentuale dei 70 milioni di profughi, quelli più ”forti” su cui punta la famiglia o i disperati tentano poi il salto più pericoloso del viaggio in barca, raccogliendo, prima liberamente poi sotto torture e minacce o lavoro schiavizzato, l’occorrente per pagare i ”passeur” di frontiera in frontiera; queste sono figure sempre esistite fin dai tempi della seconda guerra mondiale quando dissidenti politici, ebrei, o persone che fuggivano la guerra attraversavano le alpi. Quando non esisteva internet i ”passeur” portavano zaini con soldi italiani in Svizzera, quei soldi che oggi grazie alle tecnologie telematiche viaggiano indisturbati, senza frontiere, senza ”porti chiusi” per concentrarsi, sempre in poche mani, nei paradisi fiscali alcuni dei quali dietro l’angolo, nel canale della Manica. Quelle sono le mani dei “nemici” non quelle delle persone deprivate di tutto, di speranza, di lavoro e di possibilità di vita dignitose, le stesse speranze che avevamo noi quando in 60 milioni siamo andati in Argentina, USA, Australia, Francia, Belgio, Germania, ecc. ecc.. spesso senza arte né parte, agricoltori, braccianti, operai, ecc.. In gran parte non erano nemmeno scolarizzati ma si dice, secondo un luogo comune simile a quello secondo cui abbiamo portato strade e ponti e civiltà in Africa che eravamo portatori di creatività, di ingegno e di imprenditorialità: ebbene, va anche ricordato che abbiamo esportato anche le 3 più agguerrite organizzazioni criminali, ‘ndrangheta, mafia e camorra riunite nel ”franchising” di Cosa Nostra. Quelle mani che oggi concentrano le ricchezze e non le rimettono in circolo, non redistribuiscono non pagando le giuste tasse o anche solo, non reinvestendo creando nuovo lavoro, non solo causano la stagnazione mondiale in un circolo vizioso dove un’élite accumula senza senso ma tolgono a chi ha poco da offrire in termini di servizi sanitari, scuola, ricerca, raccolta differenziata dei rifiuti, energie alternative, pensioni, ecc. ecc. LA FLAT TAX E’ L’ULTIMO REGALO AI RICCHI CHE ESSENDO RICCHI VOGLIONO SEMPRE DI PIU’ E QUINDI PRETENDONO ANCHE LA LORO ”SECESSIONE” CHIAMANDOLA ”AUTONOMIA DIFFERENZIATA” IN MODO CHE QUALCHE INGENUO SI PERDA TRA LE PAROLE E NON SI ACCORGA, SOTTO L’OMBRELLONE, DI COSA SI STA PREPARANDO PER LUI. LA FLAT TAX SI BASA SUL PRINCIPIO CHE SE AI RICCHI GLI FACCIO PAGARE POCO, QUEL POCO LO PAGHERANNO TUTTI MA SI TRATTA SOLO DI UNA TEORIA, DI UN’IPOTESI, COME QUELLA DEL RECUPERO DELL’EVASIONE MESSA OGNI ANNO NELLA MANOVRA FINANZIARIA E PUNTUALMENTE SMENTITA O ATTUATA SOLO IN PARTE. IN REALTA’ ENTRERANNO MOLTI MENO SOLDI E A PARTE UNA PICCOLA MANCIA PER ESEMPIO DI CIRCA 600/700 EURO L’ANNO PER UN REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE INTORNO AI 1500EURO/MESE LE FASCE DI REDDITO PIU’ ALTE AVRANNO UN GUADAGNO DI OLTRE 6MILA EURO/L’ANNO. QUESTO REGALO VERRA’ DATO IN BENEFICIENZA O SERVIRA’ A PAGARE I MASTER IN BUSINESS ADMINISTRATION AD HARWARD AI RAMPOLLI DI QUELLE 5 MILA FAMIGLIE ITALIANE CHE DETENGONO LA MAGGIORANZA DEL PIL NAZIONALE ?

La scuola dei ricchi

Autonomia differenziata ovvero una secessione di fatto 2.0 certamente non quella ruspante voluta negli anni ’90 dai cerebrolesi ”Serenissimi” che fecero irruzione con tutta la loro volgarità e ingenuità a Venezia piazza S. Marco nel ’97 con il ”tanko” ma quella degli industrialotti del triveneto. L’autonomia differenziata è frutto, oltre che di un ventennio di individualismo spinto in senso liberistico capitalistico, di un’alleanza tra industriali del triveneto, ambienti economico-finanziari variopinti sempre del nord e artigiani e liberi professionisti tendenzialmente ”sovranisti” (ma ”glocal”) e razzisti con l’appoggio della massa di voti di uno stuolo di popolino ottuso e anch’esso razzista e soprattutto antimeridionalista. In queste interviste fatte per RADIO ONDA D’URTO viene spiegato il disegno complessivo, anche culturale, di questa cosiddetta autonomia che passa proprio dalla scuola proprio per forgiare le future generazioni al pensiero unico egoistico ”nordico” dall’assunto molto semplice: intanto tratteniamo parte delle nostre tasse nei nostri territori, ce le gestiamo noi a livello regionale, organizziamo come vogliamo noi almeno 23 ambiti decisionali tra cui la scuola e se poi, al sud, battono cassa, al limite concediamo loro un po’ di aiuto caritatevole.

DAL SITO DI RADIO ONDA D’URTO

LA GIORNATA DEL 25 GIUGNO DAVANTI MONTECITORIO

Oggi, martedì 25 giugno, a palazzo Chigi e’ in programma un vertice di governo sull’Autonomia Differenziata. Dentro c’è pure il pacchetto della regionalizzazione della scuola, contro cui saranno in piazza, questo pomeriggio fuori Montecitorio, numerosi sindacati del settore: Cobas, Anief, And, Adida, Unicobas e Gilda.

Il servizio con Stefano Bertoldi, nostro collaboratore e dei Cobas Scuola. Ascolta o Scarica

A dire no all’autonomia differenziata, che spezzetterebbe l’unita scolastica nazionale e il diritto allo studio, ci saranno pure diverse associazioni e comitati, tra cui Accademia nazionale Docenti, Donne a scuola, Professione Insegnante, Cives-scuola, Per la Scuola della Repubblica, Illuminitalia ed il Comitato Nazionale contro il Mobbing scolastico.

Alcune interviste dal presidio alle realtà organizzatrici:

Mario Sanguinetti, esecutivo nazionale COBAS SCUOLA. Ascolta o Scarica

Enza Blundo, insegnante e del comitato Cittadini nazionale cittadini contro l’autonomia differenziata Ascolta o scarica

Stefano D’Errico, del sindacato di base Unicobas Ascolta o scarica

Marcello Pacifico, del sindacato ANIEF Ascolta o scaricaV

L’INTERVENTO DI RINO CAPASSO (COBAS-SCUOLA) AL SIT-IN DEL 17 MAGGIO 2019 GIORNO DELLO SCIOPERO NAZIONALE DELLA SCUOLA DISERTATO ALL’ULTIMO DAI SINDACATI COLLABORAZIONISTI (CGIL-CISL-UIL-GILDA-SNALS)

Un migrante = 1 voto

Due settimane in balìa delle onde e del cinismo di un ministro dell’inferno che da 14 giorni non indugia a fare ciondolare in mare, tra una minaccia e l’altra sulla base di ipotetici reati uno più fantasioso dell’altro, un’imbarcazione con ”ben” 42 migranti o meglio persone, donne. uomini, ragazzi, tutte bisognose di aiuto. Questo cinismo si può spiegare sia con un’assenza totale di un’Europa, quella dei ricchi e delle lobby finanziarie ma forse anche di una buona fetta di popolo, che esce allo scoperto, anzi non esce affatto e si nasconde dietro un burattino, sempre più eccitato dalle pulsioni neo-naziste e neo-fasciste de ‘noantri sia con l’appoggio silente, distratto, del cosiddetto ”uomo qualunque”…quello del ”non può sbarcare tutta l’Africa qui da noi!”, ”bisognerebbe aiutarli a svilupparsi a casa loro”, ”un conto sono quelli che scappano dalle guerre e un conto sono tutti lgi altri”, ecc. ecc. . L’Italia insomma, popolo di migranti, navigatori ma di ben pochi ”santi” si scopre per quello che è sempre stato ovvero quel paese che ha emanato le leggi razziali, che ha elaborato con i propri intellettuali di punta il ”manifesto della razza” che ha usato i gas nervini durante il periodo del colonialismo, che ha stuprato ”legalmente” migliaia di donne nere secondo la consuetudine del madamato.

Quanto deve essere stato difficile in tutti questi anni (70 anni) impersonare la parte dell’italiano ”buono” secondo lo stereotipo dell’italiano ”brava gente”: ora ogni cattiveria è abbuonata, ogni parola messa un po’ fuori posto può essere spacciata per un innocente ”scherzo”, il bacio tra una ragazza e sua sorella calciatrice di una squadra straordinariamente ai quarti di finale di un mondiale femminile può essere tranquillamente additato quale effusione ”saffica”, un ragazzo, uno dei tanti, troppi, esempi di malapolizia può essere massacrato di botte fino alla morte con la copertura delle più alte gerarchie militari (Stefano Cucchi) . Questo mondiale femminile è stato anche uno show imbarazzante di sessismo, machismo e luoghi comuni che assieme al famigerato congresso di Verona dove si sono dati appuntamento n primavera scorsa, direttamente dal medioevo, tutti gli integralisti cattolici, stanno anch’essi ritornando in auge. Lo sdoganamento è a 360°: da una parte abbiamo una concentrazione di ricchezze mai visto dagli anni ’60 ad oggi, quasi 5 milioni di famiglie in povertà assoluta e un impoverimento generalizzato di tutte le fasce sociali tranne quelle circa 5mila famiglie che controllano la maggioranza del PIL italiano e l’1%, della popolazione (600mila persone) che secondo OXFAM ne detengono 1/4, dall’altro abbiamo un ritorno degli zombi, capri espiatori validi per tutte le stagioni, tipo l’uomo nero violento, stupratore e untore e quei sani valori patriottici capisaldi della creativa tradizione italica, così tanto rassicuranti, per una popolazione fondamentalmente analfabeta di ritorno, consumistica e provinciale quanto basta per essere convintamente sovranista. In tutto questo gioco delle parti, molto mass-mediatico e virtuale ma molto attento e concreto nei momenti in cui il manganello deve uscire per riportare l’ordine del potere costituito, un ministro dell’inferno passa il tempo tra una comparsata e l’altra, tra un talk-show e un selfie o una diretta FB, per uscirsene fuori con frasi come (a La Zanzara su Radio 24) “(…) la sorella di Cucchi si deve vergognare (…) i legali fanno bene a querelare la Signora Ilaria Cucchi e lei dovrebbe chiedere scusa” oppure, riguardo ai migranti salvati dalla Sea Watch, ”per me possono starsene lì fino a Natale”, oppure ”bandiera olandese e ONG tedesca? bene! un 50% vada in Olanda e un 50% in Germania”, ovvero, almeno 20 giorni di navigazione con mare calmo! Siccome ormai nessuno crede più al detto 1 voto vale 1, dopo le disillusioni della cosiddetta democrazia diretta, cioè quella diretta dalla Casaleggio & Co. e i suoi logaritmi di analisi delle pulsioni sui ”social”, si punta su 1 migrante = 1 voto: cioè noi ritorniamo a non contare nulla, semmai abbiamo contato qualcosa ma ogni migrante (in meno) fa incassare un voto. La più grande e cinica distrazione di massa dopo l’ascesa del fascismo.

30mila-24mila= -6mila

Scuola resistente (focus su Radio Onda d’Urto sull’annuncio ”fuffa”) sui 70mila posti nella scuola:
Il ministro leghista Bussetti annuncia ulteriore fuffa…impegni, ”faremo”, ecc. ecc. sull’immissione di nuovo personale docente nella scuola di cui circa 50mila in quella secondaria. Dopo averlo tolto, viene reintrodotto (al 14 giugno 2019 ancora una volta a parole) il concorso per i ”super-precari” ovvero i non-abilitati di 3^ fascia e poi viene riservata una piccolissima quota sempre a loro nel concorso ordinario senza obbligo di presentarsi, almeno per quest’anno con i 24CFU nelle materie psicoantropopedagogiche. Con quota 100, inoltre e pensionamenti ordinari, si calcola andranno via almeno 30mila docenti se non di più, per cui il concorso ordinario che virtualmente metterebbe in ruolo poco più di 20mila docenti non copre nemmeno il turn-over dei lavoratori stabili che vede quindi un deficit di almeno 6mila posti, mentre per i precari si gioca ancora sull’equivoco: ci si abilita e basta! quindi si diventa un po’ meno precari perché si viaggerà in seconda classe e non più in terza ma sempre sui treni ”regionali”! Lo scorso si sono calcolati in oltre 100mila le supplenze coperte dai soluti precari. A cosa servono i precari ? a tappare i buchi con modalità ”a cottimo” e ”on demand” e a dare un’immagine negativa dell’insegnante e della sua figura professionale dal di dentro, cioè all’interno dei gangli vitali della formazione dei giovani: il precario farà un’opera di convincimento nei giovani sulla strategia di ”resilienza” più adeguata a far fronte, come lui stesso dimostra, alle varie forme di sfruttamento e di precarietà. Del resto l’alternanza scuola-lavoro chiude un po’ il cerchio rispetto a questo vero e proprio lavaggio del cervello in nome della flessibilità e del DIO mercato capitalistico!. Il ministro Bussetti è poi il paladino dell’autonomia differenziata che vedrà una scuola dei poteri forti e di Confindustria al nord ed una scuola terremotata al sud peraltro secondo una propaganda pseudo-economicista che vede il sud ”spendaccione” mentre la realtà dei fatti è esattamente opposta, salvo che per la Calabria che sconta un esodo biblico dei giovani al nord o all’estero e uno sfavorevole rapporto N.docenti/N.studenti. La solita, trita e ritrita, tecnica per gettare fumo negli occhi nella popolazione che giustamente ha rinunciato a capire i meccanismi perversi delle mille graduatorie e delle mille modalità di reclutamento…che prevedono, secondo il geniale ed innovativo ministro della d-istruzione, ancora una volta i cosiddetti PAS, percorsi abilitativi speciali attivati presso le università dove insegnanti anche con 5 o 10 anni di esperienza andrà a seguire corsi a 2 o 3mila euro l’anno di tasse di iscrizione: una bella boccata d’ossigeno per il sistema universitario a corto di studenti e alle prese con una concorrenza spietata delle varie università private, reali e virtuali. A livello nazionale è stata calcolata in circa 80/100milioni di euro la spesa complessiva dei ricchissimi docenti precari imbarcati sull’ultimo PAS di circa 5 anni fa.

Intanto l’autonomia differenziata procede, i tagli pure e gli attacchi a singoli docenti nell’esercizio del loro diritto costituzionale di esprimere un proprio parere anche politico addirittura fuori dall’orario di servizio, proseguono sulla scia dell’arroganza sfacciata del ”capitano”, il ministro dell’inferno. VAI SU RADIO ONDA D’URTO

I sindacati servi del potere svendono la scuola pubblica

CGIL-CISL-UIL-Snals-Gilda ”sospendono” lo sciopero del 17 maggio 2019 ovvero, per chi non casca nell’inganno di una fattispecie giuridica inesistente (la sospensione!) lo revocano. Tutto ciò a ridosso elezioni europee, sulla base di promesse fumose o truffaldine, svendono la scuola pubblica al progetto secessionista dell’Italia dei ricchi del nord. Hanno avuto soldi in cambio ? forse qualche

Sit-in COBAS-UNICOBAS-ANIEF, 17 MAGGIO 2019 MONTECITORIO

spicciolo ma sempre meno di quel 20% di potere d’acquisto perso negli ultimi anni dai docenti ma non dai presidi che invece hanno visto incrementare la loro paghetta per fare gli sceriffi. Hanno forse ricevuto altre promesse inconfessabili proprio sotto elezioni (quelle europee del 26 maggio)? Non si sa ma i giochi di potere ai vertici non sono una novità come quello meno recente che nel 2015 portò alla riforma più nefasta mai vista del sistema educativo ovvero il mostro partorito dalla mente democristiana dell’altro Metteo, quello simpatico. L’autonomia differenziata è un progetto che parte dal lontano 1997 quando degli squilibrati esaltati della Liga Veneta assaltarono con un carro armato campagnolo (il ”tanko”) p.zza san Marco e poi sfociato nel referendum del 2017 frutto a sua volta della riforma del titolo V° della nostra costituzione del 2001. Il progetto è nel caso specifico della scuola di tipo culturale ed è in piena sintonia con le recenti dichiarazioni del simpatico ministro nordista Bussetti che ad alcuni giornalisti preoccupati del freno sui finanziamenti alle scuole disastrate del sud ha risposto tanto candidamente quanto indisponente nel suo accento ”polentone” DOC : ”Vi dovete impegnare forte! ci vuole tanto impegno, sacrificio, impegno e sacrificio”. Sarà una scuola completamente asservita ai voleri del territorio delle ”fabbrichette” che riceverà più soldi, si auto-valuterà in modo da verificare se i curricula proposti e le performance degli studenti sono in linea con le esigenze del capitale. I presidi saranno frutto delle indicazioni politiche locali-regionali e imporranno la loro linea a cascata sul corpo docente. Se si considera l’insieme dei contenuti del recente congresso di Verona a tutela della cosiddetta famiglia naturale (ovvero MASCHIO+FEMMINA=ACCOPPIAMENTO PER LA RIPRODUZIONE DELLA RAZZA BIANCA OCCIDENTALE CRISTIANA), nel Veneto questa autonomia si può prevedere che sarà saldamente indirizzata verso una visione reazionaria, oltranzista, omofoba, sessista, xenofoba e forcaiola della società e quindi dei ragazzi. La scuola è la vera frontiera della propaganda del potere politico e se i docenti non sono tutt’ora consapevoli che stiamo scivolando verso un regime liberticida si renderanno complici di questo stravolgimento culturale.

ASCOLTA LA PRESENTAZIONE DELLO SCIOPERO DI INSEGNANTI E ATA DEL 17 MAGGIO 2019 INDETTO DA COBAS-UNICOBAS-ANIEF (RADIO ONDA D’URTO)

ASCOLTA LE INTERVISTE SU RADIO ONDA D’URTO NELLA GIORNATA DI SCIOPERO INDETTO DAI COBAS-UNICOBAS-ANIEF E TRADITO DAI CONFEDERALI

L’esame d’immaturità

Invalsizzazione e aziendalizzazione: questi sono i due processi principali di mortificazione della scuola delle ”conoscenze” che deve rincorrere la scuola per ”competenze”, cioè un sapere rigorosamente funzionalizzato ad un obiettivo e se quest’ultimo si rivela di tipo lavoristico o economicistico il processo è particolarmente ben accetto. In questa puntata di “Scuola Resistente” spazio del sabato pomeriggio su Radio Onda d’Urto (poi in podcast) si parla dell’Esame di Stato, della sua tendenza a divenire sempre più un test a “quiz”, sempre più legato alle Invalsi e all’alternanza Scuola-Lavoro. Ne parliamo con Stefano Bertoldi e Rossella Latempa, insegnante di matematica e fisica e già ricercatrice sui materiali conduttori, ha collaborato inoltre con il CNR, con l’università Federico II, con l’università di Parigi Sud e con Roars, rivista online sui temi di ricerca e formazione. Ascolta o Scarica. [Download

In guerra tutti perdono! (perfino noi…)

Contro la retorica del ”nemico” nel giorno dell’anniversario della guerra di logoramento dietro casa (Ucraina VS Russia)

La guerra non è l’odio che getta le persone l’una contro le altre ma soltanto la distanza che separa le persone che si amano: con questo incipit possiamo introdurre un brevissimo testo di uno dei fondatori della psicologia clinica nel mondo ”occidentale”:

Lo Stato in guerra si permette tutte le ingiustizie, tutte le violenze, la più piccola delle quali basterebbe a disonorare l’individuo. Esso ha fatto ricorso, nei confronti del nemico, non solo a quel tanto di astuzia permessa, ma anche alla menzogna cosciente e voluta, e questo in una misura che va al di là di tutto ciò che si era visto nelle guerre precedenti. Lo Stato impone ai cittadini il massimo di obbedienza e di sacrificio, ma li tratta da sottomessi, nascondendo loro la verità e sottomettendo tutte le comunicazioni e tutti i modi di espressione delle opinioni ad una censura che rende la gente, già intellettualmente depressa, incapace di resistere ad una situazione sfavorevole o ad una cattiva notizia. Si distacca da tutti i trattati e da tutte le convenzioni che lo legano agli altri Stati, ammette senza timore la propria rapacità e la propria sete di potenza, che l’individuo è costretto ad approvare e a sanzionare per patriottismo. (S.Freud)

E pensando all’Europa che fa il tifo per i ”buoni” e sta in mezzo come un servizio di cristallo tra vasi di acciaio, questo proverbio africano si ritaglia perfettamente alla nostra situazione:

Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata

Dalla ”sinistra” della ZTL, al fascio-leghismo

Ci siamo! tanto ha fatto la sinistra benpensante e radical-chic per dimenticarsi del popolo dei lavoratori, dei precari e delle partite IVA imprenditrici di sé stesse che alla fine è arrivato come da copione, esattamente 70 anni dopo, il fascio-leghismo a convogliare la voglia di rivalsa delle classi subalterne, strumentalizzate, come sempre dal Capitale e dai suoi militari di truppa. Nella società c’è incertezza per il futuro? c’è poco lavoro e quello che ci viene proposto è precario? mal pagato e squalificante? ci sono virus impazziti e l’economia è in recessione, con l’aggravante dell’inflazione concomitante…? niente paura! Per quanto riguarda il virus, semplicemente non c’è (o forse non c’è mai stato), tanto che il S.S.N. in rovina, la medicina di prossimità inesistente e gli infermieri che mancano sono solo un brutto ricordo. L’aumento della mortalità e il calo dell’età media e speranza di vita alla nascita rappresentano infatti un’opportunità di risparmio, peraltro anche per l’INPS. Per tutto il resto arriva il solito capro espiatorio ma riveduto e corretto da una propaganda sofisticata e con UNA presidente del Consiglio che la mette in scena con la mimica convincente e familiare di una partecipante professionista di ”Uomini e donne” o del ”Grande Fratello”. Il migrante che viene da noi per raccogliere sotto il sole a 40° per 3,00 (tre) euro l’ora, quei pomodori che i nostri giovani vorrebbero tanto raccogliere al loro posto perché possano arrivare sotto forma di salsa saporitissima sull’italica pizza tanto amata da noi veri patrioti, è sulla buona strada per essere finalmente lasciato libero di morire sulla sua terra. Poco importa se quella terra sta diventando inospitale a causa delle locuste, dei cambiamenti climatici, delle carestie, delle guerre o guerriglie, ecc. ecc. : l’importante è che quel 60% di quel popolo che ha votato per l’Armata Brancaleone, essendo sempre più ignorante per una scuola-agenzia per l’impiego (che non c’è) che punta alle competenze e al ”merito” ma nel frattempo cade a pezzi, sia convinto che finalmente potrà diventare più ricco proprio grazie a quei 3 euro l’ora che finalmente potranno rimanere nelle tasche del popolo italico, discendente diretto di quel popolo che un tempo dominava mezza Europa e tutto il Mediterraneo. Se un giorno, però, si accorgerà che le strategie per una vera redistribuzione del reddito attraverso strumenti fiscali efficaci con i forti e morbidi con i deboli e gli ultimi non verrà perseguita sarà più difficile reagire nelle piazze a meno che non si tratti di gruppi di non più di 49 persone! d’altra parte, l’apparato repressivo che fino a ieri lamentava la penuria di carburante per rincorrere il grande crimine organizzato così come la carenza di personale, oggi è fiducioso, perché quell’Armata Brancaleone che da sempre è stata al suo fianco, oggi governa e il suo approccio ”muscolare” verso i deboli, i non-conformi, il dissenso politico conflittuale, sarà in linea con le loro richieste attuali e future. L’Italia, con circa 467 agenti di PS e PG ogni 10mila abitanti viene subito dopo la Russia e la Turchia, quindi in quanto a sicurezza potrebbe stare tranquilla ma il popolo non ne è mai sazia e sempre di più ne avrà ma sotto forma di repressione del dissenso anche perché i reati, quelli che minano la sicurezza nazionale, sono da anni in netta diminuzione: eppure, in concomitanza con le angherie contro il capro-espiatorio per antonomasia, il ”migrante irregolare”, in particolare quello ”economico”, il sentimento di rivalsa e di rabbia popolare è stato narcotizzato da un altro provvedimento essenziale ed urgente, come quello che concerne l’ergastolo ostativo. Si costruiranno finalmente più carceri per risolvere l’annoso problema del sovraffollamento di queste dimore di lusso per sfaccendati. Per aumentare il senso di fiducia nel futuro, la sicurezza, per garantire le sane abitudini e tutelare i ”veri” valori occidentali, bianchi e cristiani del patriottico popolo italico, ci si scaglia e ci si scaglierà anche contro quelle stravaganti unioni tra membri dello stesso sesso che pretenderebbero di offrire affetto non solo tra di loro ma addirittura ad un figlio adottivo in nome dell’amore: un paese che è il più vecchio d’Europa e col tasso di natalità più basso e che deve iniziare prima o poi a riprodursi come conigli, non può permettersi queste ”schifezze”! Dio, patria e famiglia, saranno finalmente la nostra bussola per raggiungere tutti insieme ma ognuno per la propria strada, la propria bella e calda… caverna full-optional, clava compresa, nel caso in cui la moglie una sera dovesse rincasare più tardi del consentito.