Il precariato nella scuola, come ogni altro fenomeno (anche) organizzativo non è un accidente, una disgrazia ineluttabile, piovuta dall’alto e nemmeno una semplice “cattiva” organizzazione. Passando attraverso la vecchia strategia del “divide et impera”, il potere, l’establishment e le élite che usano il ceto politico e dei tecnocrati/burocrati, utilizza la figura del precario come veicolo per diffondere un “modello di vita” e lavorativo accettabile, plausibile;
l’insegnante, dopo anni di gavetta e in molti casi di schiena piegata, o quantomeno tenuta “poco dritta” per i presidi-padroni, a causa di un sistema di valutazione (INVALSI) e di un inquinamento aziendalistico (alternanza scuola-lavoro/sfruttamento/lavoro gratis, sistema dei “crediti/debiti”) è diventato la cinghia di trasmissione di un modello culturale funzionale al capitale, finanziarizzato e spersonalizzato. La lotta di classe che oggi può coinvolgere almeno un 90% della società, deve passare attraverso il recupero del ruolo sociale dell’insegnante nel quadro di una mobilità sociale che si spera un giorno ascendente. In questo articolo apparso su Radio Onda d’Urto, si specifica meglio tutto il tema in questione con un mio intervento e quello di due esponenti del sindacalismo di base (Piero Bernocchi portavoce nazionale COBAS e Emilia Piccolo)