Questo il titolo per una serie di interventi presso ”Biblioteche di Roma” svoltisi a Roma tra giugno e ottobre 2019 per coinvolgere i partecipanti agli incontri lungo un percorso verso l’empatia nei confronti dei migranti partendo da quella verso ”l’altro da sé” ma anche verso le nostre stesse radici : noi italiani, per effetto di chiusure e paure create strumentalmente a scopo elettorale, stiamo perdendo la memoria sul nostro essere stati migranti. Abbiamo ”colonizzato”, in passato con gli eserciti, poi con la sola forza lavoro, la nostra creatività e cultura, interi paesi come l’Argentina verso i quali chi scrive, come milioni di altri concittadini, ha visto partire i propri parenti in fuga da un’Italia in ginocchio per i postumi di un conflitto mondiale devastante. Chi scrive ascolta sempre con attenzione i racconti di prevaricazione, soprusi e cattiverie subite dai propri genitori e zii, emigrati ”clandestinamente” ovvero prima con permesso di turismo e solo dopo come operai – in Svizzera: questo racconto coincide con quelli di tanti altri italiani umiliati e sfruttati proprio come raccontò Nino Manfredi in ”Pane e cioccolata”. E’ così che dopo aver constatato in prima persona la sofferenza del migrante a bordo dell’Aquarius, la nave per i soccorsi in mare di SOS MEDITERRANEE, i ricordi si ricollegano spontaneamente tra loro e quelle persone salvate mi sono apparse immediatamente più vicine, appunto ”persone” non più numeri, statistiche o semplicemente ”migranti”: non più poveri disperati ma persone con le proprie storie, a volte banali a volte straordinarie ma tutte con l’elemento in comune di una detenzione disumana in Libia, un viaggio tramutato in calvario e altre sofferenze indicibili. Ogni loro storia è a sé stante, ogni motivazione a lasciare la propria terra è diversa dall’altra ma tutte nascono da un disagio tale da far mettere loro la propria vita sul piatto di una bilancia dove sull’atro c’è disperazione, assenza di futuro, prevaricazione o peggio fame e guerre. Alle volte, però, c’è ”solo” il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita ma l’impossibilità di farlo per il blocco del rilascio dei visti. D’altra parte, quest’ultima motivazione, accomuna quei 150ila italiani che solo nel 2017 si sono iscritti all’AIRE e non tutti con un contratto di lavoro in mano ma tutti sicuramente con la pelle bianca e un passaporto dell’Unione Europea. La sfida sta allora nel rispolverare queste storie da un passato tipicamente italiano di cui abbiamo ancora dei testimoni viventi in ogni famiglia o anche i racconti più recenti di un famigliare appena trasferitosi all’estero ; ma la sfida sta anche nell’avvicinarsi, con curiosità intellettuale alle altre culture con lo stesso spirito con cui, col tempo, abbiamo imparato a stringere amicizia con il gestore del negozietto sotto casa di origine pakistana, o cinese e con i quali ormai ci diamo del ”tu” perché non ci sembrano più tanto distanti da noi, soprattutto quando ci capita di sentire parlare uno dei loro figli con la nostra stessa cadenza dialettale e stupefatti di ciò, ci rendiamo conto, subito dopo, di quanto siamo ingenui, ignoranti o semplicemente stupidi nel provare appunto quel tipo di stupore!