La fine della democrazia

Ovvero, non bastava diminuire lo ”stipendio” dei parlamentari (oltre ai vitalizi) piuttosto che il loro numero?

Semmai ce ne fosse stata una, effettivamente e compiutamente tale, dopo i colpi dati a ciò che ne rimane, dopo la caduta (ahimè parziale) del regime fascista, in questi ultimi mesi potremmo considerarla ormai clinicamente morta. Ciò che tiene in vita la cosiddetta democrazia parlamentare attuale sono i proclami nelle cerimonie pubbliche, le dichiarazioni di intenti, i roboanti discorsi in occasione di commemorazioni-chiave come il XX settembre, il 25 aprile o per la fine della Grande Guerra che qualche nostalgico ha recentemente avuto il coraggio di ribattezzare la ”Grande Guerra vittoriosa” e della quale dovremmo solo vergognarci non solo per sensibilità verso i ”nostri” milioni di caduti ma anche per quelli causati ad altre nazioni. La decretazione d’urgenza in momenti storici in cui essa NON occorre è un abuso istituzionale di cui si sono macchiati (e tutt’ora contraddistinguono) i nostri governi con un’impennata negli ultimi anni a dir poco preoccupante: essa è uno dei motivi che spiegano il titolo di questo articolo ma da pochi giorni si è aggiunto un altro colpo mortale giunto appunto dalla riduzione del numero dei parlamentari nel quadro di una riforma istituzionale e di ridefinizione dei collegi elettorali e del sistema di rappresentatività … che incoscientemente non si è fatta! Da una parte abbiamo le spese militari inutili come i 64 F16, aeroplanini da circa 100milioni di euro l’uno, assolutamente inutili oltre che fonte di ulteriori spese di manutenzione ed ormai obsoleti e dall’altra l’esu(-a)ltazione per un taglio dei parlamentari annunciato come una vittoria nella lotta agli sprechi nella spesa pubblica: ma non sarebbe bastato ridurre gli stipendi senza mettere ulteriormente a rischio le fondamenta della democrazia rappresentativa ? Si continua lungo il mito del ”dipendente” pubblico fannullone che esce a fare la spesa in orario di servizio o dei ministeri sovrabbondanti di raccomandati: senza escludere che possano esservi sacche di estrema inefficienza, il clima giustizialista e repressivo-autoritario, attuato in modo bi-partisan da Brunetta a Renzi, fa perdere di vista le priorità, i capisaldi della democrazia e soprattutto il vero ”nemico”. Siamo nell’era dei capri espiatori, delle fake-news, delle semplificazioni ispirate agli slogan delle tifoserie calcistiche: del resto il maestro assoluto fu proprio Berlusconi che avviò tale metafora in modo autorevole proprio in quanto proprietario di una squadra di calcio e fondatore di un partito che nel nome rappresentava bene questo delirio collettivo per tossicodipendenti da football. Da una parte le piattaforme informatiche che con qualche migliaio di voti vorrebbe sostituirsi al sistema parlamentare, dall’altra una delegittimazione partita da lontano oltre 20 anni fa a seguito di ”mani pulite” e il successivo periodo berlusconiano e delle TV del ”DriveIN” , dall’altra i populismi di varia natura, dal leghismo federalista al leghismo nazional-fascista di stampo salviniano, per finire con i populismi ”radical chic” dei vari rottamatori democristiani in stile renziano, anch’essi asserviti al diktat della governabilità, tanto cara a finanzieri, imprenditori e ai famigerati ”investitori” esteri. Ospitiamo qui di seguito un articolo di commento di Walter Tucci del direttivo nazionale del Partito Comunista Italiano con una critica acerrima a questa legge votata anche dagli ex-comunisti del PD:

RIDURRE IL PARLAMENTO AD UNA ISTITUZIONE INUTILE

Pochi giorni fa si è consumato l’ennesimo colpo alla nostra Democrazia rappresentativa, con la corposa riduzione del numero dei parlamentari, senza modifiche all’attuale sistema elettorale e rinviando a data da destinare i necessari contrappesi che garantiscano la rappresentanza di tutte le opinioni e le formazioni politiche.
Ne è derivato non solo un provvedimento palesemente incostituzionale, ma anche un grave errore strategico, che aumenterà il distacco dei cittadini dalla politica, la mancanza di partecipazione popolare e l’astensionismo.
La schiacciante maggioranza (553 a favore e 14 contrari), ha immolato sull’altare della demagogia e del populismo l’ennesimo “mattone” dell’edificio della democrazia parlamentare rappresentativa, costruito, in tanti anni di sacrifici e sofferenze, dalla lotta di Liberazione in poi.
Si è portata, con ciò all’incasso, la cambiale che il PD ha dovuto pagare, nonostante la conclamata contrarietà, all’alleanza di Governo con i 5 Stelle, in cambio di una vaga promessa di ulteriori modifiche della legge elettorale e dei Regolamenti parlamentari.
Nel frattempo, il taglio dei parlamentari, stante questa legge elettorale – in cui gli stessi sono nominati dai capi partito (che solo ad essi rispondono per essere rieletti), in cui si votano liste bloccate, in cui si deve superare lo sbarramento del 5% – si traduce in un premio alle forze politiche maggiori, per tenere fuori dal Parlamento quelle minori, sgradite all’establishment ed alle quali si nega perfino il “diritto di tribuna”, in un sistema oligarchico nel quale è vietato disturbare il “manovratore”.
E’ in atto già da troppo tempo la “compressione” del dibattito parlamentare e della stessa funzione del Parlamento, con il trasferimento di fatto dell’iniziativa legislativa all’Esecutivo, mentre la Costituzione attribuisce al Parlamento un ruolo centrale negli assetti istituzionali: fare le leggi che guidino l’azione di Governo e delimitino gli ambiti di azione della Magistratura, secondo il principio democratico fondamentale della divisione dei poteri.
Al contrario, si è data sempre più centralità all’azione di Governo, affievolendo la funzione parlamentare, anche con leggi elettorali che hanno spostato il “potere di nomina” dagli elettori alle Segreterie dei partiti, a scapito della libertà di decisione e di coscienza dell’eletto.
Questa legge è un ulteriore passo verso la delegittimazione del Parlamento, che potrebbe essere completata dall’introduzione del vincolo di mandato, dalla negazione, cioè, dell’autonomia di giudizio del singolo parlamentare, costituzionalmente garantita dall’art.67; dal tentativo di sottrarre alla funzione regolatrice dello Stato decine di materie fondamentali per l’uguaglianza dei diritti e la coesione del Paese (discriminando tra i cittadini secondo dove vivono) e con una procedura che ha escluso il Parlamento da ogni decisione; dalla richiesta di introdurre il Referendum propositivo, che potrebbe essere utilizzato da lobby e potentati come strumento di pressione sul Parlamento, mentre viene spacciato come strumento di democrazia diretta.
A tal riguardo, diciamo forte e chiaro, anche rischiando l’impopolarità, che noi comunisti riteniamo fondamentale, per un governo democratico della Repubblica, la democrazia parlamentare rappresentativa e che l’85% dei deputati si è assunta la responsabilità storica di rendere il Parlamento meno rappresentativo del Paese e ancora più subalterno al Governo, votando l’eliminazione di un terzo del Parlamento, cioè della democrazia rappresentativa!
Dobbiamo avere il coraggio di dire che si è trattato di un voto (quasi unanime) di un Parlamento ormai incapace di ribellarsi alle smanie populiste, cui nessuno osa più opporsi e di rifiutare, in un sussulto di dignità, la cultura della casta e dell’antipolitica. Individuare, infatti, nel numero dei parlamentari la causa del malfunzionamento di un’Istituzione fondamentale per la Democrazia, vuol dire indulgere, ancora una volta, allo spirito demagogico imperante di chi ritiene di poter risparmiare sul funzionamento della Democrazia.
Se questo è il criterio, qualcuno potrebbe, prima o poi, suggerire un risparmio ancora maggiore abolendo tout court l’intero Parlamento e decretarne la totale inutilità, per sostituirlo con la piattaforma Rousseau o simili!
L’efficienza del Parlamento, è risaputo, dipende essenzialmente dai Regolamenti di funzionamento delle Camere, dall’autonomia dei parlamentari, dalla loro competenza, dalla legge elettorale e, in parte, solo in parte, dal bicameralismo paritario.
Ora che l’errore è fatto, (a meno di sorprese, se si farà il Referendum) il vigente “rosatellum” diventa, come detto, la mannaia per le formazioni politiche minori già esistenti o nuove, che concentrerà ancora di più nelle mani di pochissime forze la rappresentanza politica.
Si è detto che presto si costruiranno le garanzie di rappresentanza democratica, per assicurare il pluralismo politico e territoriale, con la modifica della legge elettorale.
Ma allora non era più logico modificarla prima del taglio dei parlamentari, che aumenterà l’ampiezza dei collegi e la proporzione tra eletti ed elettori, lascerà intere aree del Paese senza rappresentanza parlamentare ed entrerà in vigore solo nel 2023?
La verità e che non ci sarà nessuna garanzia di rappresentanza democratica, tramite una nuova legge elettorale, perché la maggioranza già pensa a un nuovo sistema maggioritario o a un proporzionale con sbarramento molto alto (il 6, il 7%?), per obbligare le formazioni più piccole, anche se politicamente e culturalmente significative, ad entrare nei partiti maggiori.
Del resto, neanche la c.d. sinistra è convinta di superare la parte di maggioritario esistente, anche se il tanto desiderato bipolarismo è stato sconfitto fin dal 2013, con il ritorno al multipolarismo, che ha rotto le catene imposte ad una società pluralista da meri artifici elettorali. Spingere ancora su sistemi elettorali che investano direttamente un Premier e un Governo, potrebbe portare, nell’attuale fase politica, al presidenzialismo, già invocato a gran voce dalle destre e non solo.
Le varie leggi elettorali d’impostazione maggioritaria hanno infatti, nel tempo, sempre più limitato la presenza delle forze politiche minori nelle Assemblee parlamentari e territoriali, falsando la proporzionalità della rappresentanza, attraverso meccanismi premiali, che regalano ad una minoranza più seggi dei voti ricevuti, distorcendo l’effettiva volontà del corpo elettorale e scavando un fossato nel rapporto tra elettori ed eletti.
Contro questa pericolosa negazione della partecipazione democratica, il PCI ha da tempo avanzato la proposta (in sintonia con il pensiero di diversi Giuristi, come Rodotà e Ferrara) di mantenere una sola Camera con funzione legislativa; una sorta di monocameralismo che dia piena capacità di rappresentanza ad una sola Assemblea, diversificando le funzioni di Camera e Senato, magari con una seconda Camera, che rappresenti le Regioni e superi le pericolose pulsioni separatiste e le richieste di autonomia differenziata. Ma a patto che la rappresentanza elettorale si basi su un sistema proporzionale puro, cioè senza sbarramenti innaturali, che impediscono di fatto la rappresentanza a milioni di elettori di liste minoritarie, i cui voti vanno perduti.
Per riparare, pertanto, a questo gravissimo errore politico, nato dall’esigenza di soddisfare la “pancia” dell’elettorato populista, deluso da tante promesse demagogiche non mantenute, riproponiamo, dunque, l’unico sistema in grado di ripristinare il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti parlamentari; di non distorcerne la volontà; di non privilegiare la governabilità a scapito della rappresentatività; di ripristinare l’eguaglianza nell’esercizio del diritto di voto (una testa un voto) e la funzione costituzionale dei partiti (art. 49) di “rappresentanza organizzata della volontà popolare”.
In una parola, chiediamo un sistema elettorale in grado di ridare equilibrio al rapporto tra forma di governo e rappresentanza politica, ristabilendo la centralità del Parlamento e della sua indispensabile funzione legislativa.

Roma 18 ottobre 2019

                        Walter Tucci 
    (Responsabile nazionale PCI - Dipartimento Costituzione, Democrazia, Istituzioni) 

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