Nei momenti difficili ci si accorge sempre di quelle situazioni in cui precedentemente, in tempi ”facili”, si sono trascurate delle azioni da mettere in atto, dei risparmi di tempo o di energie e attenzioni che alla fine ci chiedono il conto. L’epidemia (o il rischio pandemia) può essere appunto un’emergenza, quindi per definizione non preventivabile ma come si cerca di fare nella nautica, chi pianifica un viaggio, lungo o corto che sia, mette in conto che magari non potrà entrare in un porto, oppure che ancorando in una baia, dove improvvisamente il vento ha girato, dovrà lasciare in fretta e furia l’ancora sott’acqua per trarsi d’impaccio: quindi si portano due ancore e i viveri come per stare anche una settimana e non un week-end solamente, ecc. ecc. Ebbene all’emergenza che stiamo vivendo basterebbero pochi numeri per essere classificata e uno su tutti: i posti-letto ogni 1000 (mille) abitanti che sono, per esempio Germania 8,3 Austria 7,6 Francia 6,5 Bosnia-Erzegovina 3,5 … Italia 3,4. Si è tagliato in un ambito, la salute, il cui modello solidaristico e universalistico era invidiato da tutti, un po’ come la scuola dell’infanzia, modello didattico e pedagogico per tutto il mondo. Si sono chiusi ospedali, paradossalmente anche quelli che proprio oggi sarebbero preziosi come il Forlanini a Roma, specializzato in malattie pneumologiche, oggi parzialmente adibito a centro culturale e una parte abbandonata al degrado e nota alle cronache per una triste vicenda di violenza sessuale. Parallelamente il complesso sanitario privato ha vissuto sulle mancanze di quello pubblico e ha proliferato anche grazie ai suoi finanziamenti grazie alle convenzioni e agli accreditamenti. Privatizzazioni, tagli, visione economicistica e aziendalistica del welfare sono tutti figli di un neo liberismo di cui ha usufruito quel 20% di italiani, secondo i dati del Creédit Suisse utilizzato per i rapporti Oxfam sulle disuguaglianze, che detiene quasi il 70% del PIL. I divari aumentano, la qualità dei servizi si abbassa per quell’80% di popolazione all’interno della quale vi è una percentuale non trascurabile con indici di qualità della vita, come la speranza di vita alla nascita, in calo perché non ha accesso alle cure. La cartina al tornasole di questa situazione è il sistema penitenziario che ci vede ai primi posti delle classifiche mondiali per cattiva gestione per non citare le numerose condanne per tortura da parte della CEDU e altri organismi internazionali: 27 rivolte e 8 morti in un giorno ci indicano che l’Italia non è più un paese civile o meglio che è governato da un’élite cinica, senza visione del futuro. Uno stato considerato ”canaglia” come l’Iran, nella nostra stessa situazione, ha velocemente messo in piedi un sistema di misure alternative al carcere. Ciò non toglie che poi abbiamo non dei medici ma spesso degli eroi, degli infermieri-guerrieri da premiare col titolo di cavalieri del lavoro ma un paese non può sempre contare su queste eccezioni, su questi sforzi perché alla fine dei conti qualcosa non torna mai e anche una sola vita persa per questa incuria e cinismo è sempre troppa. In tutto il mondo, a macchia di leopardo e su questioni diverse ma sempre riconducibili al macro-problema delle disuguaglianze e disparità di reddito avevano iniziato a smuovere le acque ma tutto poi si è fermato e anche in Francia, la più combattiva, il presidente ha fatto ricorso all’equivalente del nostro decreto d’urgenza con in più il voto di fiducia.