In un pezzo di Medio Oriente strappato alla Palestina e al popolo che lo abitava, dal quarantotto ad oggi, la sedicente democrazia israeliana attua un’apartheid verso la popolazione arabo-palestinese che non tutti conoscono nelle sue reali dimensioni. Questa apartheid ha come caratteristica di attuarsi anche con mezzi non coercitivi ma attraverso forme e riproduzioni culturali che passano anche attraverso i libri di scuola. Di questa forma culturale di colonizzazione ‘’nichilista’’ da parte di una cultura dominante nei confronti di una cultura soggiacente ne abbiamo parlato con Barbara Gagliardi dell’Associazione Amicizia Italo palestinese e membro del Comitato ‘’Per non dimenticare Sabra Shatila’’ che ogni anno si reca in Libano per portare sostegno e riportarci testimonianze dai campi profughi che raramente riusciamo a trovare sui mass-media mainstream nostrani. Barbara ha sottolineato come questa forma di apartheid si attua sia nei confronti dei palestinesi relegati nei territori occupati e assediati da campi di coloni israeliani che a macchia di leopardo riducono gli spazi di vita e di movimento dei palestinesi (non solo transfrontalieri) ma in maniera più strisciante anche verso coloro che sulla carta sarebbero anch’essi cittadini israeliani sebbene di etnia araba. D’altro canto, a differenza dell’ebraismo che si tramanda principalmente per linea di sangue, possiamo trovare palestinesi di religione cristiana, atei o semplicemente non praticanti. Di fatto come sottolinea Barbara le due categorie di cittadini hanno diverse opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro e di acquisire conoscenze e competenze perché di fatto ci sono due canali uno di serie A e uno di serie B, uno destinato agli israeliani ebrei e l’altro destinato agli israeliani di passaporto israeliano ma di etnia araba. All’università questi due canali si riuniscono ma la forma mentis sul ‘’dossier Palestina’’, nei programmi scolastici e nei libri di scuola oltre ad essere completamente distorto a favore dell’’invasore’’ il più delle volte è azzoppato in termini varietà culturale, saltando a piè pari, ad esempio autori fondamentali della letteratura palestinese. Tanto per fare un esempio, nel 2015 Naftali Bennett, ministro dell’istruzione israeliano, vietò gli interventi nelle scuole dei rappresentanti di “Breaking the Silence”, Ong composta da soldati israeliani decisi a raccontare, ‘’per vita vissuta’’, i crimini commessi nei Territori occupati. Da quando si è attuata la congiunzione tra lo Stato-nazione d’Israele e la religione ebraica la situazione non ha fatto che aggravarsi: nei libri di scuola, sia in quelli degli studenti israeliani ebrei sia in quelli dei loro colleghi inseriti nei percorsi differenziati dedicato agli israeliani arabi, il popolo palestinese la loro etnia la loro cultura e la loro lingua praticamente non sono contemplati arrivando anche al paradosso che nelle scuole ‘’arabe’’ è proprio la letteratura palestinese ad essere trascurata. D’altro canto – come sottolinea Barbara – il processo sionista di occupazione di quelle Terre è avvenuto con lo stesso modello culturale e la stessa motivazione originaria che ha spinto le popolazioni europee costituitesi poi in negli Stati Uniti d’America, altra democrazia ‘’modello’’, ad annientare i nativi americani e poi a rinchiuderli nelle riserve come i loro fratelli aborigeni australiani. Barbara ha poi delineato un quadro generale di una popolazione come quella palestinese che dal punto demografico ha di fatto vinto la battaglia portata avanti contro di loro dal ‘48 ad oggi dal popolo ebraico e dallo Stato di Israele, spiegando così la recrudescenza di un’apartheid che agisce ora a 360° e quindi anche sul piano culturale: si va dai cittadini di ‘’serie b’’ in terra d’Israele a quelli di ‘’serie c’’ nei territori occupati per finire con quelli di ‘’serie d’’ nei campi profughi. Qui, ci ricorda Barbara, gli unici finanziamenti provenienti dall’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) sono stati pesantemente ridotti anche per il recente taglio dei versamenti effettuati fino a poco tempo fa anche dagli USA. Nei campi profughi quindi i ragazzi non hanno un futuro nemmeno dal punto di vista culturale essendo loro negato il diritto fondamentale all’istruzione che in una ‘’società della conoscenza’’, con un titolo di studio in mano, potrebbe consentire loro di trovare opportunità altrove. In Libano le libere professioni non sono mai state accessibili ai palestinesi ma al giorno d’oggi, con la crisi galoppante, anche le attività manuali, svolte ovviamente in nero, sono anch’esse diventate impossibili da trovare. I venti di guerra che spirano da più parti del mondo, anche dal vicino Oriente, peraltro con un nuovo protagonismo militare proprio di Israele protagonista di recente di alcune incursioni in Libano e Siria e addirittura in Iran, non fanno che aggravare la situazione col risultato che la condizione del Popolo palestinese è purtroppo uscita dai radar per rientrarvi solo occasionalmente ma come problema di ‘’pubblica sicurezza’’ …israeliana.
Israele unica democrazia in terra d’oriente?
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