Sociologo, formatore e navigatore. WEB-SITE ANTIFASCISTA, ANTIMILITARISTA, PACIFISTA E ANTI-SOVRANISTA patriottismo? NO GRAZIE! No-borders !
Autore: Stefano_Bertoldi
Sociologo, ricercatore e progettista di formazione, insegnante a contratto nelle scuole secondarie, alterna queste attività con quella di skipper/marinaio e istruttore di vela nonché attivista sindacale (COBAS-SCUOLA)
Il 25 novembre è una data che segna l’inizio dei 16 giorni di impegno, dibattiti, ecc. che precedono la giornata mondiale per i diritti umani (10 dicembre) dedicati a largo spettro alla violenza di genere e quindi a considerare proprio il genere, le scelte individuali, le libertà individuali, le scelte sessuali, ecc. come “ambito relazionale umano” da tutelare in tutte le sue sfaccettature. Giovedì 23 novembre il prof. Daniele Novara, fonte autorevole nel campo della pedagogia e della psicologia sociale, propone un incontro-dibattito on-line gratuito registrandosi al seguente LINK
(Dal primo capitolo del libro di Michele Lancione, Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca. QUI SOTTO IL LINK AL LIBRO IN PDF)
(…) Militarizzare significa sottoporre a regime militare cose che militari non sono. Secondo il dizionario Treccani questo processo può includere tre aspetti: l’imposizione di disciplina, la costruzione di fortificazioni, ma anche l’atto di «dare un carattere o imporre uno spirito militare: m. la nazione, la burocrazia, i sistemi educativi». La recente storia italiana ed europea ne è un esempio. Si pensi all’occupazione militare di spazi pubblici come le stazioni, tipica del periodo post 11 settembre 2001, o all’aumento delle fortificazioni lungo i Balcani, al confine greco-turco, e attraverso il Mediterraneo con l’utilizzo di filo spinato, check-point, droni, aerei, navi equipaggiate di mitragliette e molto altro. Inoltre, a partire dalla Guerra al Terrore di George W. Bush, passando per “l’invasione migratoria” dell’estate 2015, fino ad arrivare al conflitto russo-ucraino contemporaneo, non solo lo strumento tecnico, ma anche il linguaggio militare e il suo “spirito” si sono diffusi come un’inevitabile realtà del tempo in cui viviamo (…).
Alla vigilia della ricorrenza del 4 novembre che di anno in anno si preannuncia sempre più invischiata in un’aurea di patriottismo e nazionalismo bellicistico che contrasta in modo stridente con la corretta definizione che diede della Grande Guerra papa Benedetto XV°, ovvero ”un’inutile carneficina” ecco qui di seguito in una galleria fotografica a cosa portò la corsa imperialista fino all’ultima estrazione di risorse materiali ma anche umane
Pubblichiamo integralmente un’analisi dello studioso Maurizio Vezzosi sulla situazione in Palestina
L’offensiva scatenata dalle fazioni palestinesi contro Israele non è cominciata in un momento qualsiasi. Segnando un prima ed un dopo, è stata lanciata simbolicamente di sabato – giorno sacro della tradizione ebraica – a cinquant’anni esatti dall’inizio della guerra dello Yom Kippur: più concretamente, gli avvenimenti del Vicino Oriente si inseriscono nel contesto di trasformazione degli equilibri politici del nostro pianeta, e sotto questa lente occorre osservarli.
La rappresaglia dell’esercito ebraico contro obiettivi civili
Per gli Stati Uniti il deterioramento del dominio israeliano rappresenta un serio problema, sia rispetto al proprio già declinante ruolo nella regione, sia rispetto al proprio ruolo globale. Dopo aver assistito alla normalizzazione dei rapporti tra Iran ed Arabia Saudita promossa dalla Cina, gli Stati Uniti si trovano a fare i conti con una grave crisi militare – la più grave, probabilmente, dal 1982 – del proprio principale alleato nella regione. Le dichiarazioni da parte della presidenza turca e di quella russa – quest’ultima, particolarmente insistente – a proposito della necessità di uno stato palestinese danno la misura della situazione: una situazione che quasi certamente non tornerà allo status quo precedente l’attacco palestinese di sabato scorso. Il coinvolgimento di Hezbollah dai territori del Libano è ormai certo, così come quello delle forze palestinesi presenti in Cisgiordania. E per le forze israeliane il quadro potrebbe ulteriormente complicarsi, sia sotto il profilo strettamente militare che sul piano politico: quella di una guerra di proporzioni regionali è certamente una delle possibilità in cui l’attuale conflitto potrebbe evolvere.
La rappresaglia dell’esercito ebraico contro obiettivi civili
La rappresaglia dell’esercito ebraico contro obiettivi civili
Sotto il profilo tattico lo scenario attuale suggerisce che un cessate il fuoco tra le parti sia ben poco realistico: del resto, per le forze israeliane la presenza di un massiccio numero di combattenti palestinesi penetrati a decine di chilometri da Gaza rappresenta una minaccia insostenibile. Pur garantendo un esito disastroso sotto il profilo umanitario, il blocco degli approvvigionamenti ed il massiccio utilizzo dell’aviazione su Gaza potrebbero non garantire affatto alle forze israeliane di avere la meglio, così come potrebbe non garantirlo una possibile offensiva terrestre. Quest’ultima, in particolare, potrebbe impantanare le forze israeliane ed avere conseguenze nefaste sia sotto il profilo militare che politico. Sotto il profilo strategico il dato più significativo è il vantaggio che le compagini palestinesi possono trarre dall’attuale configurazione internazionale: realisticamente, il possibile indebolimento della compagine israeliana, e quindi statunitense, può far convergere l’interesse della maggior parte degli attori regionali ed extraregionali.
Nel frattempo il tema della controffensiva di Kiev è ormai scomparso dall’agenda dei media, e prima ancora dal campo di battaglia. Le principali cariche statunitensi ripetono ormai da settimane che il sostegno militare a Kiev è inevitabilmente destinato ad esaurirsi. Del resto, sostenere in modo determinante sotto il profilo militare sia Israele che l’Ucraina sarebbe un obiettivo decisamente ambizioso per Washington. Se a questo si sommano i guai a Taiwan ed in Africa lo stato di salute in cui trova il dominio statunitense sul mondo sembra versare in una condizione inquietante, soprattutto per chi lo vorrebbe immutabile ed eterno.
Maurizio Vezzosi, analista e reporter freelance. Collabora con RSI Televisione Svizzera, L’Espresso, Limes, l’Atlante geopolitico di Treccani, il centro studi Quadrante Futuro ed altre testate. Ha raccontato il conflitto ucraino dai territori insorti contro il governo di Kiev documentando la situazione sulla linea del fronte. Nel 2016 ha documentato le ripercussioni della crisi siriana sui fragili equilibri del Libano. Si occupa della radicalizzazione islamica nello spazio postsovietico, in particolare nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Kirghizistan. Nel quadro della transizione politica che interessa la Bielorussia, nel 2021 ha seguito da Minsk i lavori dell’Assemblea Nazionale. Tra la primavera e l’estate del 2021 ha documentato il contesto armeno post-bellico, seguendo da Erevan gli sviluppi pre e post elettorali.Nel 2022, dopo aver seguito dalla Bielorussia il referendum costituzionale, le trattative russo-ucraine, e sul campo l’assedio di Mariupol, sta proseguendo a documentare la nuova fase del conflitto ucraino. È assegnista di ricerca presso l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.
In Parlamento procede l’iter che potrebbe portare all’istituzione del 4 Novembre come festa nazionale.
Una simile celebrazione rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto al processo di normalizzazione della guerra e di marginalizzazione della cultura della pace che quotidianamente osserviamo nel mondo educativo e nella società. (CONTINUA A PAG.2)
Si avvicina la commemorazione del 4 novembre in chiave oltremodo nazionalistica, patriottica e ”vittoriosa” ma non c’è nulla da festeggiare: al contrario andrebbe messo il lutto al braccio! Con l’occasione, qui di seguito, si riporta il testo integrale pubblicato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuola e delle università a proposito appunto del 4 novembre, con le cifre di massacro inutile e un’analisi critica di come si vorrebbe imporre una militarizzazione della società a partire dalla scuola:
Il caicco stracarico di persone, schiantatosi sulle coste crotonesi dopo essere stato seguito a vista da 4 giorni a partire dalla Turchia: nessuno ha alzato un dito. Italiani, brava gente.
Contro la retorica del ”nemico” nel giorno dell’anniversario della guerra di logoramento dietro casa (Ucraina VS Russia)
La guerra non è l’odio che getta le persone l’una contro le altre ma soltanto la distanza che separa le persone che si amano: con questo incipit possiamo introdurre un brevissimo testo di uno dei fondatori della psicologia clinica nel mondo ”occidentale”:
Lo Stato in guerra si permette tutte le ingiustizie, tutte le violenze, la più piccola delle quali basterebbe a disonorare l’individuo. Esso ha fatto ricorso, nei confronti del nemico, non solo a quel tanto di astuzia permessa, ma anche alla menzogna cosciente e voluta, e questo in una misura che va al di là di tutto ciò che si era visto nelle guerre precedenti. Lo Stato impone ai cittadini il massimo di obbedienza e di sacrificio, ma li tratta da sottomessi, nascondendo loro la verità e sottomettendo tutte le comunicazioni e tutti i modi di espressione delle opinioni ad una censura che rende la gente, già intellettualmente depressa, incapace di resistere ad una situazione sfavorevole o ad una cattiva notizia. Si distacca da tutti i trattati e da tutte le convenzioni che lo legano agli altri Stati, ammette senza timore la propria rapacità e la propria sete di potenza, che l’individuo è costretto ad approvare e a sanzionare per patriottismo.(S.Freud)
E pensando all’Europa che fa il tifo per i ”buoni” e sta in mezzo come un servizio di cristallo tra vasi di acciaio, questo proverbio africano si ritaglia perfettamente alla nostra situazione:
Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata
Un’analisi delle varie forme di apartheid dello Stato ebraico ai danni della popolazione nativa arabo-palestinese sia nei propri confini che nei territori occupati per finire alle enclave palestinesi in Libano nei campi-profughi
Radio Onda d’Urto e Scuola Resistente: l’appuntamento di sabato 4 febbraio a Radio Onda d’urto con il nostro collaboratore, Stefano Bertoldi, dei Cobas Scuola. Ospite della puntata Barbara Gagliardi dell’Associazione Amicizia Italo palestinese e membro del Comitato ‘’Per non dimenticare Sabra Shatila’’ Ascolta o scarica
Scuola Resistente, con il professore Roberto Schiattarella, economista sempre molto critico verso le ricette economiche dell’ultim’ora, proposte in maniera semplicistica da alcuni opinion leader, torna ad affrontare alcuni dei grandi temi dell’analisi sociale ed economica e allo stesso tempo offre indicazioni utili ad insegnanti e studenti per analizzare in modo critico narrazione che oggi viene fatta dell’economia capitalistica in cui siamo immersi, partendo da Federico Caffé. Ascolta o Scarica
Una persona in regime detentivo ”duro” (41bis) e condannato all’ergastolo ostativo (fine pena mai) si sta lasciando morire, rinunciando all’alimentazione, per protesta contro due misure restrittive di per sé aberranti per uno Stato democratico e ”di diritto” ma che nel suo caso giuridico specifico hanno anche fondamenta molto deboli oltre che inutili. Si confondono le analisi storiche che spiegano questo regime detentivo nato circa 40anni fa e oggi ingiustificabile: d’altra parte andando nel dettaglio delle misure al suo interno, molte di queste si potrebbero definire, a buon titolo, come torture fine a sé stesse. Anche l’ergastolo ostativo, peraltro in contraddizione con lo spirito educativo o rieducativo della pena sancito dalla Costituzione, altro non è che una pena di morte differita, una vendetta. Siamo molto lontani da quello spirito liberaldemocratico e molto più vicini ad una funzione di vendetta e di sofferenza consequenziale ad un’azione deviante. In barba a tutte le statistiche che dimostrano che il tasso di recidiva di chi usufruisce di pene alternative a quelle detentive è molto più basso dei percorsi ”afflittivi”: si preferisce il polso duro per acquietare le paure, peraltro create ad arte dai mass-media e da politici reazionari, di una popolazione in cerca di capri espiatori facili essendo più difficile individuare il soggetto che li impoverisce giorno dopo giorno.