La curva di Gatsby (leggi anche l’articolo su questo sito)
Concetti quali elasticità intergenerazionale, mobilità sociale, in particolare quella verticale danno la misura di una chiusura o all’opposto di un’apertura delle possibilità per tutti i cittadini, di acquisire uno status socioeconomico dignitoso, di acquisire un livello minimo di benessere e felicità, indipendentemente dalle condizioni di partenza. Questi termini, o meglio tutti i dubbi e gli interrogativi che su questi ruotano le domande di chi ha a cuore il benessere e la pace in una società egualitaria, sono purtroppo divenuti di attualità. In questo recente articolo-denuncia si racconta come sia ormai un mito quello del self-made man e che i modelli di questo tipo, sempre che esistano ancora, altro non sono che eccezioni, quelle confermano la regola; e qual è la regola negli USA che può essere applicata con qualche piccola correzione verso l’alto (paesi scandinavi e altri del nord-europa) o verso il basso (Italia, USA, Brasile, ecc.) in tutto il nostro civile e progredito occidente cresciuto nel mito della meritocrazia ? la regola è tecnicamente riassunta nella cosiddetta curva di Gatsby ovvero un mix tra l’indice di Gini (che ci indica il livello di diseguaglianza nella redistribuzione delle ricchezze i un paese) e l’elasticità intergenerazionale (IGE) studiata dall’economista Miles Corak di New York cioè la maggiore o minore facilità, partendo da un determinato status, di raggiungere quello successivo (migliore se in ascesa) o di rimanere inchiodato a quello di origine, se non addirittura di peggiorarlo. L’autore è Mattew Stewart che ha scritto appunto de ”I privilegiati” sul The Atlantic, USA ripreso con la traduzione in italiano sulla rivista Internazionale, luglio 2018.
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Il racconto dei racconti: stigma sociale e discriminazioni etniche
Il fenomeno delle migrazioni insieme all’annosa questione, tutta italica, dei ROM, Sinti e Camminanti, rappresenta per un paese in recessione economica il tipico argomento facilmente convertibile in capro espiatorio per una popolazione sfiduciata verso la classe politica e senza strumenti di analisi che le consentano di individuare il vero “nemico”.
Sebbene da più parti, anche sulla base di serie statistiche storiche e analisi diacroniche (vedi analisi dell’articolo su Nature) si affermi esattamente l’opposto, se trattato in un modo adeguato, questo fenomeno epocale, ricorrente e come ci insegna la storia (anche quella nostra) ineliminabile, rappresenta il classico strumento di distrazione di massa descritto da Noam Chomsky. D’altra parte, un paese “civile” e avanzato economicamente come il nostro, senza guerre, senza carestie, assiste impassibile e nel silenzio più totale ad una tragica emorragia di giovani verso mete estere e ad un calo demografico che sta facendo scomparire interi piccoli comuni al Sud come al Nord Italia Slogan: lo slogan modificato in senso nazionalistico “aiutiamoci a casa nostra” evidentemente non funziona e l’esodo e l’invecchiamento continuano. A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi come sia possibile pronunciare scientemente lo slogan “aiutiamoli a casa loro” senza chiedersi perché non riusciamo noi per primi a farlo e se sia possibile farlo in paesi dove noi per primi non abbiamo nessun interesse a farlo. Abbiamo forse interesse ad aiutare disinteressatamente i paesi africani a gestire le proprie immense risorse ? a differenziare le loro economie in modo che il loro sviluppo non sia monotematico ? a creare le basi per una redistribuzione locale dei redditi ed imporre all’élite con cui facciamo affari e vendiamo armi ad attuare riforme in seno democratico al fine di creare una classe media redistribuendo meglio i redditi ? La risposta è semplicemente NO!. Ed è per questo che frasi di senso comune, stereotipi, falsificazione dei dati e presentazione tendenziosa dei fatti, associati alle c.d. “fake-news” consente di orientare o meglio dirottare l’opinione pubblica verso un facile capro espiatorio, il debole, il diverso, l’anticonformista, lo straniero, ovvero tutto ciò e tutti coloro che metterebbero repentaglio le poche certezze in un mondo in cambiamento rapido e appunto, soprattutto in recessione. Il colonialismo prima e poi il neo-colonialismo attuale, è alla base dei grandi squilibri nella ripartizione delle ricchezze a livello mondiale: manodopera a basso costo, delocalizzazione, specializzazione di alcuni paesi in via di sviluppo in fornitori di materie prime o lavoro ai paesi occidentali, associati alla necessità strutturale di un aumento esponenziali dei margini di profitto delle multinazionali, (pena la caduta dei titoli azionari in borsa) sono solo alcuni dei fenomeni che causano l’attuale recessione associata ad una sovra-produzione legata a miglioramento della produttività. Il fenomeno finanziario collegato è quello tipico di un’economia sovrastata dai grandi movimenti di capitali e risorse su scala planetaria, ovvero la volatilità dei mercati, delle piazze finanziarie e degli stati con il loro carico di debiti sovrani, più o meno rilevanti, più o meno rimborsabili. Se da noi quindi assistiamo ad una precarizzazione del lavoro, peraltro comune a molti paesi dell’UE e fuori dall’UE ad uno svuotamento di capacità produttive e industriali a vantaggio di alcuni paesi forti che hanno comprato diverse realtà produttive italiane, nei paesi africani e del sud-est asiatico questi fenomeni sono amplificati da élite corrotte con cui l’occidente fa accordi commerciali e strategici. Si vendono quantità ingenti di armi, si fanno accordi strategici per spartirsi zone di influenza, si destabilizzano o si distruggono paesi interi per poi ricostruirli, si inventano sempre nuovi nemici da combattere. Guerre, carestie, accentramento delle ricchezze in poche mani, in pochi industriali e finanzieri appoggiati da una tecnocrazia potente e solo di poco meno ricca sono la vera causa degli squilibri alla base delle migrazioni ma anche degli squilibri interni. Assistiamo in tutti i paesi europei ad un aumento delle fasce di povertà assoluta e relativa, ad un accentramento delle ricchezze cronico e pericoloso ma in Italia in modo particolare: la precarizzazione del lavoro e il futuro incerto di molte fasce sociali richiedono facili capri espiatori e varie forme di chiusura che rassicurano intere fasce sociali impaurite a causa di fatti oggettivi amplificati ad arte dai mass-media. Parallelamente l’apparato repressivo messo in piedi dalle classi dominanti rendono inefficaci le classiche forme di protesta e di ribellione sociale e mortificano il desiderio di cambiamento reale della rotta intrapresa negli ultimi 20-30 anni.
Agli albori di un nuovo fascismo (4.0)
Tra gli anni ’30 e ’40 tra Germania, Polonia e paesi confinanti, furono allestiti campi di concentramento e campi destinati alla “soluzione finale” contro soprattutto cittadini ebrei della diaspora ma anche Rom, Sinti, ecc., omosessuali, persone “strane” non conformi e dissidenti politici.
Sotto gli occhi (e i nasi) che guardavano (annusavano) altrove milioni di persone venivano eliminate con i gas e poi inceneriti per eliminare le prove. All’epoca il racconto era che queste “non-persone” gestivano le ricchezze mondiali, mettevano a rischio l’integrità “razziale” (sebbene sia stato dimostrato che le razze non esistono) o l’integrità della famiglia “naturale” (papà e mamma, uomo e donna che si accoppiano e generano figli che dovranno essere assolutamente eterosessuali). Morirono a milioni, con una percentuale maggiore tra le persone di ceto sociale al di sotto di quello medio-borghese o semplicemente sfortunate e colte di sorpresa. Oggi la storia si ripropone in versione a volte edulcorata da tecniche di comunicazione e di propaganda più sofisticate al passo con livelli di istruzione più elevati e al netto di forme di analfabetismo di ritorno e di “povertà” culturale. Oggi come allora, in modo trasversale, a destra (il fascista, Conte di Salvinellimaio) e a sinistra (il fascista Minnirenzie) viviamo il periodo del “consenso” come lo definì lo storico Federico Chabod: quando i vari capri espiatori non serviranno più a celare i veri nodi della cultura neo-liberista e della strisciante “lotta ai poveri” (al netto di qualche compassionevole forma di assistenzialismo statale…forse) ci ritroveremo, probabilmente, coinvolti in qualche guerra contro il nemico di turno, magari con qualche arma di distruzione di massa nel cassetto; ovviamente, tutto questo avverrà in presenza di comuni e piccole comunità locali morenti perché si esauriranno le poche pensioni che tengono ora in piedi le loro magre economie, in presenza di una popolazione che invecchia e che necessiterebbe di circa 140mila nuovi cittadini all’anno e di trattenere le decine di migliaia di giovani (spesso figli delle classi privilegiate) che vanno all’estero per mettere a profitto le loro lauree ancora oggi molto competitive.
La comunicazione politica in situazione di emergenza “democratica”
In una società avviata verso un modello repressivo, autoritario, in cui la lotta ai poveri non è dichiarata ma viene veicolata come giusto rimedio allo sperpero che avremmo attuato nell’era in cui tutti noi vivevamo al di sopra delle nostre possibilità (?!) e in cui la tecnica sempre attuale del capro espiatorio e di altri strumenti di distrazione di massa sono vincenti, occorre rimboccarsi le maniche e attuare una NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE per indirizzare la rabbia popolare, finalmente, verso le vere cause del loro malessere materiale e immateriale…
Il dissenso ogni tanto emerge con grande forza si nei contenuti sia numericamente, come i 100mila in corteo a Roma di movimenti, associazioni, singoli, sindacati antagonisti provenienti da ogni parte d’Italia: si manifesta contro la lotta ai poveri, ai migranti e agli ultimi che non devono essere aiutati affinché non rimangano indietro secondo il principio del welfare ”compassionevole” perché in realtà una società democratica ed egualitaria che offre ad ognuno in base alle proprie necessità non dovrebbe produrne affatto. Ecco un breve resoconto del corteo nazionale a Roma di fine 2018, oscurato deliberatamente dai mass-media, quegli stessi mezzi d’informazione tanto vituperati dal Movimento 5stelle e che ora sono presidiati proprio da questi ultimi o dai loro fiancheggiatori e dagli ”amici” fascio-leghisti.
RAPPORTO OXFAM 2019: RICCHI SEMPRE PIU’ RICCHI, POVERI SEMPRE PIU’ POVERI
Posted on : 9 Luglio 2019 – 10:10 By redazione
La secessione dei ricchi: da destra a sinistra il sistema capitalistico neo-liberista impone di puntare sulle regioni a più alta produttività del lavoro (SERVIZIO RADIO SU RADIO ONDA D’URTO)
NON C’E’ ACCORDO SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA (ANCHE DETTA “SECESSIONE DEI RICCHI”)
Politica di palazzo con il governo che prosegue nei litigi interni alla maggioranza. Fumata nera per il vertice sulle Autonomie a Palazzo Chigi e al quale hanno partecipato i vicempremier Salvini e Di Maio, oltre ai ministri competenti in materia: il premier Conte è chiamato ancora una volta a mediare tra la Lega, che vuole accelerare a ogni costo sul dossier, e il M5s che su alcuni punti, come l’istruzione, non ha alcuna intenzione di cedere. La discussione sul tema è rimandata a giovedì.
Il nostro collaboratore Stefano Bertoldi ha partecipato invece domenica, presso il liceo Tasso di Roma, alla riunione del manifesto dei 500 (di studenti, insegnanti, sindacalisti) preparatoria delle prossime lotte contro l’autonomia differenziata, cioè la cosìdetta secessione dei ricchi. Lo stesso Bertoldi ha intervistato per noi Massimo Villone, professore emerito di Diritto Costituzionale Università degli Studi di Napoli “Federico II” in merito all’Autonomia Differenziata e alle sue conseguenze. Ascolta o Scarica
”Italia divisa e diseguale”, l’ultimo libro di Massimo Villone sul tema: SCARICALO QUI