Un progetto UISP-Vela partito nel 2019
Nel 2019, con una tappa molto importante a Caorle, l’UISP vela ha organizzato un incontro formativo per istruttori dedicato alla vela per non vedenti. Da subito si è intuita la reciprocità formativa del tema in questione che peraltro risulta coerentemente connesso ad una pratica in uso da tempo, sempre in UISP-Vela, del bendaggio degli occhi quale esercizio formativo per gli istruttori. Non è quindi solo un tema legato ai principi cardine dell’UISP, la vela per ”tutti” ma un valore aggiunto per l’istruttore stesso che in una situazione ”limite” entra in una dimensione che risulta utile nella pratica quotidiana con i normodotati. Si tratta quindi di una sorta di specializzazione trasversale che rende l’istruttore in qualche modo più sensibile e più comunicativo nelle più svariate situazioni formative.
1.Vela, non vedenti e visioni stereotipate: istruzioni per l’uso
Relazionarsi con un non vedente in un quadro di scuola vela o di semplice navigazione, come per altre dinamiche relazionali, vede il mezzo e la dimensione, per definizione ”instabile”, al centro di un’accentuazione di alcuni aspetti che sulla terra ferma assumono tutt’altro spessore e significato. La barca a vela è un acceleratore di dinamiche e per quanto concerne stereotipi e pregiudizi può farli emergere con più forza anche sulla base di uno stress aggiuntivo dovuto proprio all’assenza di uno dei sensi maggiormente usati proprio in navigazione: la vista.
1.1 Linguaggio, vocaboli e modi di dire: alcuni ”sforzi inutili”
Le cadute di stile, soprattutto se analizzate dal lato del non vedente e quindi secondo un approccio empatico, possono essere numerose e tuttavia, molto spesso, attuate in assoluta buona fede sia su un piano positivo – come un complimento o un incoraggiamento – sia dal lato opposto di un’eventuale ”rimprovero”. Un complimento tipo ”…che bravo ! Hai proprio un sesto senso !” può risultare tanto positivo per l’istruttore-conduttore quanto negativo per l’allievo-passeggero non vedente e il tutto, spesso, nell’assoluta inconsapevolezza, vedi anche, buona fede, di chi ha comunicato in tal modo. Allo stesso modo, in termini di ”autocensura preventiva”, si commette maggior danno evitando alcuni verbi o sostantivi piuttosto che adottarli in modo del tutto spontaneo, senza paure di eventuali discriminazioni : ”ci incontriamo domani” in luogo di ”ci vediamo domani”, può farci sentire meglio sul piano di una presunta e preconcetta ”sensibilità” comunicativa ma pradossalmente non fa altro che accentuare la diversità che è invece ben introiettata e spesso ormai rielaborata da tempo ed accettata dal non vedente. Tornare su alcuni verbi o sostativi innaturali, inoltre, sulla base di una loro presunta neutralità o apparenza ”politically correct” non fa altro, invece, che accentuare il distacco tra ”noi” e ”loro”.
1.2 Relazionarsi con naturalezza, spontaneità e in modo ”personalizzato”
Un eccesso di ”cura” o ”accudimento” o di attenzioni, al di là degli ovvi aspetti di sicurezza e delle innumerevoli barriere architettoniche ”galleggianti” che si incontrano su un natante soprattutto se a vela, come più sopra detto, non fa che accentuare la diversità, rimarcarla e metterla su un piano di inadeguatezza in termini di autosufficienza. Da questo punto di vista dire ”…ti accompagno” è preferibile a ”…ti porto”, ”…ti indico il bagno” è meglio che ”…andiamo in bagno”, un’espressione che peraltro potrebbe anche ingenerare equivoci o imbarazzi del tutto evitbili ; tutto ciò non avviene spontaneamente ma è frutto di stereotipi, pregiudizi, autocensure ed eccesso di razionalità. Lasciandosi un po’ andare, infatti, quel senso di protezione dovuto spesso all’inesperienza di chi non vive tutti i giorni a contatto con un non vedente, finisce per estinguersi, appunto, in modo naturale.
In assenza della vista, dare il nome alla persona non vedente quando ci si relaziona con lei assume un significato ancora più basilare e fondante della personalità altrui : ma farsi sfuggure ”tu, fai questo, tu vieni qua, o prendi questo…” è ancora peggio. Il cieco può stare tranquillamente in piedi ! cioè non occorre fargli obbligatoriamente posto come ad una donna in gravidanza sull’autobus, ovviamente tenuto conto di tutte le condizioni di sicurezza.
- Relazionarsi in modo preciso
La presenza di un non vedente impone di svolgere gli esercizi in una modalità che risulta poi utile anche per le attività ordinarie. Occorre essere precisi, nell’indicare una distanza, nelle misure, nelle intensità ecc. ecc. Oltre alla indicazione precisa di una direzione, intuibile rapidamente dal non vedente, come ad esempio ”a destra” piuttosto che ”di quà” o ”di là”. In questo senso usare come riferimento il quadrante dell’orologio, peraltro utilizzato in tante altre situazioni, può risultare particolarmente utile ied effcace in questa nuova dimensione : ”barca ad ore 11, attento !” è sicuramente più veloce rispetto a ”leggermente a sinistra”. Questa ricerca di precisione non risulta utile sono in queste situazioni particolari ma è fondamentale nell’ambito di una corretta comunicazione in barca. A bordo tutto cambia perchè nulla può e deve essere dato per scontato : accostarsi in banchina a due metri dal secondo parabordo è sicuramente meglio che ”un po’ a sinistra” : allo stesso modo, con i non vedenti, ruotare di un quarto il timone verso sinistra e sempre meglio di un po’ a sinistra o destra. Tutto ciò rappresenta un valido allenamento anche per la vita in barca a vela dei normodotati : il comando non deve lasciare spazio alle interpretazioni e allo stesso tempo deve essere appunto preciso nelle misure, nelle distanze, insomma nell’ambito della variabile ”dimensioni” o ”distanze”, ”grandezze”.
- I sensi residui
Il tatto, oggigiorno un po’ desueto perchè sovrastato paradossalmente proprio dalla vista e quindi dai suoi prodotti, ovvero le immagini della realtà che ci circonda, è qui di ofndamentale importanza : la barca deve essere ”toccata” in tutte le sue parti perchè come a casa propria il non vedente deve prendere le distanze e trovare percorsi che via via lo rendano più sicuro di sé. Il tatto non è solo utilizzato per ”prendere le misure” per esempio rispetto al boma o al ”fine barca” ma anche rispetto all’istruttore stesso, ovviamente se questo non crea troppo imbarazzo. Un mezzo così instabile, in movimento, necessita una presa di misura anche con le persone a bordo a cominciare dall’istruttore. Per questo motivo una lezione va dedicata interamente alla presa di possesso tattile della barca e della vele.
Il tatto è cruciale anche per ”sentire” il vento, un esercizio anch’esso utile a prescindere dalla presenza o assenza della vista ma come è intuibile, in questo secondo caso, diventa cruciale e non coinvolge solo il volto ma il corpo nel suo insieme. Allo stesso modo le scotte o le drizze, ognuna con la propria sezione, morbidezza, elasticità, si individuano grazie al tatto, un modo ”antico” per entrare in contatto col mondo, proprio come fa il bimbo. D’altra parte qui entra in gioco il livello di confidenza che si ha con una o con tutti i membri dell’equipaggio : va tenuto in conto che per molti ciò possa rappresentare un tabù. A maggior ragione, quindi, ne deriva la necessità di utilizzare questo strumento comunicativo con estrema consapevolezza. Del resto non potrebbe essere altrimenti proprio perchè il tatto è passato un po’ di moda tra i 5 sensi proprio per fare spazio alla vista, il senso più gettonato soprattutto negli ultimi decenni con l’avvento di telefonini invadenti e l’abbuffata di programmi e serie TV. Ne consegue che gli imbarazzi, le reticenze o le autocensure rispetto all’utilizzo di questo organo di percezione così importante sia didatticamente che sul piano relazionale, stanno più nella mente dell’istruttore ed occorre quindi solamente un cambiamento culturale e un salto di paradigma.
Il tatto da usare come uno strumento didattico legato alla comunicazione efficace ci impone anche una conoscenza del nostro corpo in movimento, del nostro ”stare” in barca per immedesimarsi il più possibile col corpo del non vedente : mettersi nei suoi panni immaginando di avere gli occhi chiusi rappresenta un esercizio implicito e costante. Pensando alle giovani generazioni forse il recupero del tatto potrebbe rappresentare uno specifico modulo all’interno di un percorso formazione formatori una sorta di parte propedeutica in quanto rappresenta un senso ancora di più relegato A poche funzioni rispetto alla vista divenuta fondamentale per ”restare connessi”.
Per quanto concerne l’udito e il padiglione auricolare occorre approfondire bene il tema in quanto qui entriamo in pieno nel percorso che già ai primi del novecento fu descritto dal primo studioso del rapporto tra mente e sensazioni il noto psicologo tedesco Wundt. Dalla sensazione, cioè l’impatto meccanico sul tipano e il conseguente impulso elettrico che parte verso il cervello, si arriva alla percezione che rappresenta già una prima rielaborzione che poi si trasforma in appercezione quando acquista consapevolezza.
Il vento quindi si ascolta e si sente. Si ascolta perchè il suono viene appunto associato ad una serie di informazioni, ricordi, esperienze, rielaborate e poi classificate nella nostra mente : le sfumature dello sciabordio lungo la linea di galleggiamento che passa da un leggero fluire ad un più rapido incresparsi delle onde sempre più grandi sulle mure, sbattendo ad un ritmo via via crescente vogliono tante cose se associate ad altre appercezioni. Potremmo aver regolato meglio le vele, oppure il vento ha accelerato e con esso la barca ma allora questa risultarebbe improvvisamente più sbandata e soprattutto avremmo ”sentito” in modo diverso il vento sulle orecchie.
Le sfumature insomma sono tantissime e ad ogni momento ci può essere una scoperta nuova che offre una visione diversa soprattutto all’istruttore che in questo modo, attraverso l’esperienza descritta in tempo reale dalla persona non vedente, arricchisce in modo straordinario il proprio rapporto con il ”navigare”. Ci si accorge di quanta importanza si dà alla vista e si impara quindi ad implementare anche gli altri sensi, spesso trascurati, e a farne uno strumento didattico per tutti quindi funzionale ad una attività formativa sempre più ricca.
Ma per valorizzare la dimensione uditiva, oltre a memorizzare tutte le sfumature che ci vengono raccontate dal non vedente e farne tesoro per lui e per gli altri normodotati, occorre adottare alcune accortezze come quella di lasciarsi andare ai suoni del mare e dell’imbarcazione che ne fende le acque. Una regola fondamentale consiste nello spegnere la musica che in questo caso è solo di intralcio o addirittura pericolosa come per noi tapparsi le orecchie in mezzo al traffico urbano. La regola della musica silenziata, in modo flessibile, non va applicata sempre e comunque ma sicuramente in fase di lezione di vela oppure nelle fasi delicate dell’entrata in porto, va seguita scrupolosamente. L’entrata in porto, peraltro, dimostra come le sfumature dei suoni diventino cruciali in acque ristrette perchè la componente vento lascia il posto ad altre sonorità : è il regno del suono del motore, peraltro non particolarmente potente, dell’invertitore, della massima concentrazione per percepirne l’effetto evolutivo o la velocità non appena una bava di vento colpisce il volto.
Altre accortezze fondamentali sono quelle di non mettersi davanti alla persona ”oscurandole” il flusso del vento e dei suonie quella di parlare uno alla volta. Per la prima regola va ricordato che il vento si ascolta e allo stesso tempo si sente. Si ascolta con l’udito e si sente col volto e i padiglioni auricolari. Va da sé che in inverno, con tutto l’abbigliamento pesante indossato tutto ciò diventa oltre che più complesso anche minimamente limitato. La regola altrettanto fondamentale del parlare uno alla volta, peraltro valida per ogni tipologia di equipaggio, è dovuta al fatto che solamente uno alla volta si può capire da dove viene il suono e da chi e soprattutto, la persona essendo già concentrata su diverse tipologie di suoni e/o rumori non può disperdere energie per discernere le voci che si accavallano tra loro.
Per quanto riguarda l’olfatto, l’odorato, quest’ultimo entra in gioco in diverse situazioni. La prima è quella strettamente sensoriale legata alla navigazione stessa, come l’odore all’approssimarsi della terra ferma o al passaggio accanto ad un’isola o quello delle onde che nebulizzano iodio e odore appunto di mare. La seconda è legata alla convivialità, come ad esempio il cibo che cuoce in cucina che assume odori diversi a seconda del punto di cottura. Il cieco non solo può ma deve partecipare a tutto o quasi nelle varie attività di bordo, ad iniziare appunto dalla cucina, un momento di convivialità eccezionale.
Una modalità di inclusione fondamentale è quella di stabilire dei turni nei quali il cieco deve essere assolutamente inserito affinché tutto il resto delle sue attività e la convievenza a bordo funzioni in armonia.
L’elemento dell’inclusione passa anche e soprattutto nel ”racconto” del viaggio in quanto l’equipaggio, a turno, rappresenta gli occhi del non vedente : il mondo esterno deve assolutamente essere descritto il più possibile anche nei suoi dettagli (”…a destra c’è un bellissimo orizzonte”, ”davanti c’è…)
- Accorgimenti pratici
Quando l’equipaggio sale a bordo, anzi ancora prima che ciò avvenga, bisogna subito mettere a proprio agio il non vedente che deve poter salire attivando in tutta tranquillità e concentrazione tutti i propri sensi. La navigazione, in sostanza, inizia ancora prima di salpare cioè poco prima di mettere il primo piede sulla scaletta. Per fare ciò i bagagli devono essere subito stivati per dargli modo di orientarsi in tutta tranquillità e prendere le misure della barca già nelle prime fasi, in cui i bagagli, magari sparsi qui e là provvisoriamente, sono solo dei ”distrattori”. Qui non è questione di ”ordine” ma che il campo deve essere sgombro e nelle sue dimensioni effettive e misurabili.
Le azioni, di un istruttore o di chiunque altro, devono poi essere descritte minuziosamente e in anticipo e possibilmente mai svolte in uno stato d’ansia che inevitabilmente verebbe trasmessa e forse percepita in maniera amplificata.
La conduzione del cieco deve seguire alcuni accorgimenti che in barca possono in parte essere applicati come sulla terra ferma : senz’altro, più che in quella dimensione diventa fondamentale il racconto del percorso, le misure e le distanze dove mettere un passo dopo l’altro o dove mettere le mani. Qui e fondamentale che vengano prese bene le misure dei corrimano e di ogni valido appiglio. Una tecnica classica di conduzone è quella col braccio del conduttore piegato a 90° e il non vedente in posizione leggermente arretrata che con la mano gli tocca il gomito per stabilire un contatto molto sensibile ai dilsivelli, in alto o verso il basso : l’unico comando vocale deve avvertire il non vedente è per un ostacolo o l’avvicinarsi di una scala o la sua fine. Anche qui la precisione è fondamentale anche per motivi di sicurezza che rimane pur sempre la priorità soprattutto in questa situazione. In quest’ottica non va mai abbassata la guardia anche in situazione ”tranquilla” prevedendo sempre cosa potrebbe succedere : questo rappresenta intuitivamente un esercizio che è sicuramente ”vitale” con la presenza di un non vedente ma diventa anche un esercizio mentale utile in tutte le occasioni.
Prima di salire a bordo potrebbe essere utilissima una lezione sulla terra ferma con un modellino perchè la barca in miniatura, presentando tutte le sue componenti essenziali ma in uno spazio ristretto consente di poter far fare domande velocemtne su ogni dotazione e parte della barca. Allo stesso tempo si ha l’occasione di creare mondi fantastici intorno a quell’oggetto-barca in maniera propedeutica alla navigazione che verrà, creando anche un’aspettativa e una sorta di mistero o avventura. Su questo piano vi è una grande differenza tra chi ha perso l’uso della vista nel corso degli anni e mantiene ancora vivo il ricordo di una barca : questo paradossalmente non sempre rappresenta uno svantaggio, soprattutto quando si è in presenza di un residuo di vista che rischia di dare false sicurezze o false percepzioni o ingenerare stereotipi.
Quando si scende a terra ed è il momento del feed-back e della messa in comune delle esperienze vissute tutto deve rimanere riconducibile all’esperienza pratica, al collegamento tattile specifico ed osservato a bordo, all’esperienza uditiva ed olfattiva. Ancora una volta l’istruttore deve fare un notevole sforzo di immedesimazione ma al tempo stesso di attivazione sensoriale a più dimensioni e in associazione con una grande capcità mnemonica di associare momenti a sensazioni, manovre e movimenti a suoni, percezioni del vento, ecc. ecc. Risulta quindi superfluo ribadire come questo doppio binario, astratto-pedagogico tipico della componente ”conoscitiva” della lezione debba coniugarsi con molteplici dimensioni pratiche, cioè non solo i movimenti da provare e riprovare ma con essi il loro racconto in associazione con le rispettive sensazioni, tattili, uditive o olfattive. Ed appare ulteriormente superfluo sottolineare l’evidente vantaggio in primis per l’istruttore ma anche per gli altri allievi nornodotati di un esercizio simile di ”intensità” e ricchezza formativa.